Nell’intricata giungla del Sunderbans, quell’enorme e
fitta foresta che avviluppa il delta del Gange, Tremal-Naik,
il cacciatore di serpenti, e il suo fedele maharatto Kamma-
muri aspettano, nascosti dalle fronde, l’arrivo dei Thugs,
i famigerati strangolatori. Li avevano avvistati poco pri-
ma, in una radura: una quarantina di uomini, tutti quasi
nudi, coperti solo dal dugbah, specie di sottanino color
ocra, assiepati all’ombra di un gigantesco banyan. Attor-
no alla vita portano un «laccio di seta, sottile anzi che no».
Tremal-Naik, per vendicare l’uccisione del disgraziato
compagno Hurti, aveva sparato, e ucciso uno di loro. Ora,
infrattati nella vegetazione, i due compagni d’avventura
attendono, mentre echeggiano le cupe note del ramsinga,
che essi si appalesino; per il terrore di Kammamuri, certo
della loro implacabile vendetta: «Sono spiriti, padrone».
Al che Tremal-Naik replica freddamente: «Io credo che
sieno uomini. Taci, e guardati ben d’attorno».
Scena e dialogo, tratti da Gli strangolatori del Gange,
versione originale de I misteri della jungla nera, di Emilio
Salgari1, sono un eccellente introibo alla discussione che
verrà presentata in queste pagine intorno alla «vera natu-
ra» dei Thugs2. Per lungo tempo si è chiamata con questo
nome una setta criminale di strangolatori di professione
1 Gli strangolatori del Gange, terzo romanzo d’appendice di Salgari,
dopo La tigre della Malesia (1883) e La favorita del Mahdi (1884), apparve
come feuilleton in 77 puntate su «Il telefono» di Livorno nel 1887. Cito
dall’edizione Viglongo, Torino 1994, p. 26 e 29.
2 Questa rassegna si ricollega esplicitamente, come sottolinea il titolo, al
mio saggio Trasformazioni discorsive e identità sociali: il caso dei lazzari, in
devoti alla dea Kali, la terribile «madre nera», simbolo di
distruzione. Una narrazione tradizionale in cui i Thugs
rappresentano la quintessenza dell’India arcana, inavvici-
nabile e misteriosa, apparentemente docile ma essenzial-
mente infida e pericolosa, arretrata e perciò bisognosa di
Questa rappresentazione si è costruita nel tempo. Il
primo riferimento storico all’esistenza di strangolatori
indiani è relativo al tardo Seicento (1684), epoca in cui il
viaggiatore francese Jean de Thévenot racconta dell’esi-
stenza nell’Indostan di banditi di strada, all’epoca chia-
mati phansigars o phasingars (dal persiano phansi, nodo),
che usavano derubare i viaggiatori uccidendoli mediante
strangolamento. Il racconto di Thévenot verrà ripreso nel
1808, nelle relazioni del magistrato inglese Thomas Perry,
di stanza a Etawah, in Uttar Pradesh, nell’India del Nord,
e soprattutto nel 1816 dal dottor Richard Sherwood, un
medico inglese di stanza a Madras (oggi Chennai), che in
un articolo apparso sulla locale gazzetta, e intitolato Of the murderers called phansigars, allargherà l’area di diffu-
sione del fenomeno dai dintorni di Delhi, dove lo aveva
riscontrato il viaggiatore francese, all’area che da Delhi si
estende per 150 miglia in direzione sud, verso Agra. Sono
gli anni convulsi dell’espansione dell’East India Com-pany, con i complessi problemi della trasformazione da
un controllo economico – essenzialmente commerciale
prima ed economico-militare poi – ad un vero e proprio
dominio politico-amministrativo. È in questo contesto
che inizia ad essere usato, per designare i banditi di strada,
il termine thug, una parola derivata dal termine hindi thag
e dal marathi thak (entrambi derivati dal sanscrito s’tha-ga, ingannare) parole con cui si designava comunemente
un imbroglione o un truffatore, e in generale un ladro.
Ben presto tuttavia l’espressione thug assumerà un signi-
ficato speciale, ad indicare quei criminali che, dopo essersi
insinuati amichevolmente nelle comitive di viandanti, ac-
compagnandoli, usavano un romal (laccio) per strangola-
re nottetempo e poi derubare, gli sfortunati viaggiatori3, i
cui cadaveri venivano poi fatti scomparire, seppellendoli
3 K.A. Wagner, Thuggee. Banditry and the British in Early Nineteenth-Century India, Palgrave, Basingstoke 2007, pp 25-7.
Anche se questa forma di criminalità non colpiva gli
europei, si diffuse presto una certa attenzione al feno-
meno, in una congiuntura segnata dalla crescente preoc-
cupazione politico-militare britannica per le incursioni
dei Pindaris, sorta di guerriglieri-briganti al servizio dei
Maratha, dai cui domini – soprattutto Malwa (nell’India
nord-occientale) e Chamba (ai piedi dell’Himalaya) – par-
tivano per incursioni e razzie nei territori controllati dalla
East India Company. Una volta lanciata un’offensiva su
larga scala contro i Pindaris, che portò nel 1817-18 alla
terza guerra Anglo-Maratha, anche i Thugs vennero posti
sotto osservazione, e iniziò uno sforzo di comprensione e
di classificazione per meglio combatterli. Uno dei più co-
nosciuti chronichlers britannici dell’epoca, John Malcom,
riassumendo il sapere del tempo, scriveva nel 1823 che
The thugs are composed of all castes; mahomeddans even
were admitted; but the great majority are Hindus; and amongst
them the Brahmines, chiefly of the Bundelcund tribes, are in
the greatest numbers, and generally direct the operations of the
different bands4. Com’è stato giustamente osservato, in una fase di enor-
me instabilità politica, uno dei primi imperativi dell’am-
ministrazione britannica era di dare ordine alle cose,
denominandole5. E riducendo quindi quel complesso mo-
saico di strane istituzioni, misteriosi riti, e ripugnanti ma
anche affascinanti costumi, ad una serie di concetti chiari,
o presunti tali: come appunto caste6, ma anche tribù, ban-de,sette e classi. E infatti gradatamente si fa strada l’identi-
ficazione dei Thugs con una vera e propria setta di stampo
criminale-religioso, immaginata come un’unica, possente
organizzazione, dotata di precise tradizioni, regole di ini-
ziazione, e specifiche attitudini tali da costituire una delle
facce, la più ripugnante, del mosaico indiano, uno dei tas-
Quel che è straordinario, nel formarsi di questa iden-
tificazione, è che i testi fondativi della delineazione del
4 H. Schwarz, Constructing the Criminal Tribe in Colonial India. Act-ing like a Thief, Wiley-Blackwell, Oxford 2010, p. 53.
6 In generale, S. Bayly, Caste, society and politics in India from the eighteenth century to the modern age, Cambridge U.P., Cambridge 1999;
sulla nascita moderna della casta come incontro tra l’India e la Western colo-nial rule si veda N.B. Dirks, Castes of Mind: Colonialsm and the Making of Modern India, Princeton U.P., Princeton (N.Y.) 2001.
fenomeno criminale Thuggee sono stati scritti dagli stessi
autori che l’hanno per così dire allo stesso tempo «sco-
perto» e combattuto. Vale a dire soprattutto il tenente
colonnello William Henry Sleeman, autore di un famosa
lettera anonima pubblicata il 3 ottobre 1830 sulla «Cal-
cutta Literary Gazette» in cui si denunciava l’esistenza di
una singolare setta di assassini che offrivano come devo-
ti alla dea Kali il frutto dei loro omicidi. La lettera ebbe
un’eco straordinaria e, anche a seguito di essa, Sleeman fu
poi incaricato di guidare le operazioni di repressione del
fenomeno, che condusse con metodi assai energici lungo
il decennio successivo. Com’è stato detto giustamente,
Sleeman creò l’urgenza di cui fu il rimedio7. L’altro prota-
gonista della costruzione del «sapere» sui Thugs è un suo
collega, assai meno impegnato nelle operazioni sul campo,
il capitano Philips Meadows Taylor, autore della famosa
novella Confessions of a thug (1839)8, un vero e proprio
thrilling capace di avvincere la popolazione inglese, non
esclusa la regina Vittoria, che pretese addirittura di leggere
in bozze il testo, che divenne in breve un bestseller.
Sleeman e Meadows Taylor hanno così al contempo
costruito l’immagine classica dei Thugs, e, almeno nel caso
di Sleeman, l’hanno fatto distruggendone l’attività crimi-
nale e l’esistenza stessa. Si potrebbe dire anzi che l’hanno
repressa proprio nella misura in cui l’hanno distinta, sepa-
rata, identificata9. Poco importa che il protagonista della
novella di Meadows Taylor, il capo-thug Sayed Ameer
Alì, detto Feringhea, uno degli informatori di Sleeman,
diventi nel racconto fantasiosamente un uomo-tigre da-
gli occhi scuri che ama o alternativamente strangola belle
donne: quel che conta è che si stabilisca un nesso forte
tra una religione misteriosa, il fascino – romanticamente
sublime – per l’orrido, e un’organizzazione criminale ca-
pace di minacciare non solo l’ordine costituito ma l’intero
fondamento della civiltà cristiano-europea.
Attraverso questa identificazione si costruisce, me-
diante altri testi di sintesi che volgarizzano il tema, come
7 K.A. Wagner The Deconstructed Stranglers: a Reassessment of Thug-gee, in «Modern Asian Studies», 38, 2004, p. 949.
8 P. Meadows Taylor, Confessions of a Thug, R. Bentley, London 1839.
9 Schwarz, Constructing the Criminal Tribe cit., pp. 51-3.
quello di Edward Thornton10 o quello di James Hutton11,
un modello che si fissa durevolmente nell’immaginario
occidentale12. Prende il via così una tradizione letteraria
che da L’Ebreo errante di Eugene Sue (1844), in cui Fe-
ringhea, il «principe dei Thugs», appare in veste di pante-
ra, giunge al Willkie Collins di Moonstone (1868) e poi a
Mark Twain, a Jules Verne ed a Rudyard Kipling; e nel no-
vecento ad una tradizione filmica che da Gunga Din (film
del 1939 tratto da una novella di Kipling e interpretato da
Cary Grant) arriva sino a Indiana Jones and the Temple of Doom (1984) di Steven Spielberg e a The Deceivers (1988)
Ma soprattutto, l’identificazione dei Thugs produ-
ce conseguenze giuridicamente rilevanti, dando luogo al
Thuggee Act del 1836, che – sulla base di misure prece-
denti14 e legalizzando le procedure «esecutive» adottate da
Sleeman nella campagna di repressione – rendeva anche
retroattivamente l’appartenenza ai Thugs, in quanto tale
(e cioè senza la presenza di dimostrati reati specifici) un
delitto punibile con i lavori forzati a vita15. È significati-
vo che, com’è stato osservato, il testo non fornisca alcuna
spiegazione di cosa sia un Thug e di cosa consista il reato
di Thuggee. Il Thuggee Act verrà esteso successivamente
(1843) ad altri gruppi criminali come i Dacoits (termine
hindi generico indicante i banditi di strada), cui verrà ap-
10 E. Thornton, Illustrations of the history and practices of the Thugs. And notices of some of the proceedings of the Government of India, for the suppression of the crime of thuggee, W. H. Allen and co., London 1837; ma si
veda anche E.P. Eddrupp, The Thugs; or, Secret Murderers of India, Society
for promoting Christan Knowledge, London 1853.
11 J. Hutton, A popular account of the Thugs and Dacoits, the hereditary garrotters and gang-robbers of India, W. H. Allen and co., London 1857. Ma
si veda anche René de Pont-Jest, Le procès des Thugs, Bunel, Paris 1877.
12 Si noti come l’eco dell’esistenza di una «lega degli strangolatori» porti
Carlo Cattaneo a ipotizzare la loro origine come una forma di resistenza ad
una setta straniera. Alcuni scritti del dottor Carlo Cattaneo, Borroni e Scotti,
13 K. Rushby, Children of Kali, Constable, London 2002, pp. 11-3.
14 Già nel 1772 l’articolo 35 della general regulation del Bengala Army
permetteva la punizione della famiglia o del villaggio del reo, sulla base
dell’argomento che i criminali indiani erano tali per professione ereditaria.
Questo concetto sarà poi ribadito dalla Regulation XII del 1793, diretta
contro criminals by profession: Schwarz, Constructing the criminal tribe cit.
15 R. Singha, A Despotism o f Law. Crime and Justice in Early Colonial India, Oxford U.P., Oxford 1998, p. 30.
plicata la normativa, e le procedure, elaborati per combat-
Nel frattempo l’identificazione dei Thugs si arricchisce
dell’idea della loro permanenza stabile come gruppo cri-
minale ereditario, una nozione via via «confermata» grazie
alle «scoperte» della frenologia e alle valutazioni cranio-
metriche dell’antropologia criminale17. Una prospettiva
questa che, generalizzata, condurrà a coniare il concetto
giuridico di Criminal tribe. Con questo termine venivano
designati alcuni segmenti di popolazione indiana, ritenuti
soggetti per disposizione innata e irriformabile a delinque-
re e perciò passibili in quanto tali di specifiche restrizioni
dei propri diritti politici18. La repressione/identificazione
dei Thugs è stato così una sorta di modello sperimentale
per pensare il più vasto e complesso tema della devianza
in una società altra19. Una riflessione che, sostenuta dalla
convinzione di una sorta di missione civilizzatrice affidata
agli inglesi dalla Provvidenza o dal Progresso, sfociava nel
1871 nell’emanazione del Criminal Tribe Act una norma-
tiva che puntava a identificare e classificare gli individui
attraverso l’ascrizione a un pre-definito gruppo criminale,
già registrato appunto come «tribù criminale»; si puntava
così a contenere e controllare specifici gruppi sociali e ter-
ritoriali, i cui membri erano privati di taluni diritti politici
e civili (tra cui la libertà di domicilio) e vincolati a pesanti
16 Creando il Thuggee and Dacoits Department; cfr. il resoconto delle
operazioni offerto dallo stesso Sleeman: Report on Budhuk, alias Bagree Decoits and other gang robbers by hereditary profession: and on the meas-ures adopted by the government of India for their suppression, J.C. Sheriff,
17 K.A.Wagner, Confessions of a Skull: Phrenology in Early Nineteenth Century India, in «History Workshop Journal», 69, 2010, pp. 27-51.
18 M. Fourcade, The So-Called Criminal Tribes of India: Colonial Vio-lence and Traditional Violence, in Violence/Non Violence. Some Hindu Pre-spectives, eds. D. Vidal, G.Tarabout and E. Meyer, Manohar, New Delhi
19 Come affermato nel 1870, dal relatore del progetto di legge sulle Cri-
minal Tribes, il giurista James Fitzjames Stephen, le tribù criminali «were
criminals from times immemorial who are themselves destined by the us-
ages of caste to committ crime and whose descendants will be offenders
against the law, until the whole tribe is exterminated or accounted for in the
manners of thugs». Il brano è citato da K. Rushby, Cildren of Kali, Consta-
ble, London 2002, p. 174, che ricorda anche il giudizio, dello stesso anno,
di Francis Otway Mayne commissario finanziario ad Allahabad: «The fra-
ternities are of such ancient creation, their number so vast, the country over
which their depredations spread so extensive, their organization so com-
plete, and the evil of such formidabile dimensions, that nothing but special
legislation will suffice for their suppression and conversion», ibid.
ingerenze nella vita familiare e nell’allevamento dei figli.
I Thugs, prima pensati come setta criminale, erano ricon-
figurati ora come una tribù criminale e talora anche come
una casta delinquenziale20, divenendo così l’esempio pa-
radigmatico del gruppo sociale ereditariamente deviante,
e, si sarebbe tentati di dire, della «razza criminale». Que-
sto sistema di «seclusione di massa» è arrivato a include-
re 13 milioni di persone: gruppi sociali che, al momento
dell’abolizione della normativa, subito dopo l’indipen-
denza indiana, nel 1952, sono state definiti come Vimukta Jatis, ovvero «classi liberate» e poi ri-classificati come De-notified classes, prima, e De-notified and nomadic Tribes
poi, rimanendo un problema aperto della società indiana
La tradizionale visione degli inglesi civilizzatori venuti
a epurare il lontano mondo indiano della sua più ripu-
gnante espressione criminale, trova da subito in Sleeman
il suo eroe: biografie agiografiche disegnano una figura
cromwelliana imbevuta di rigore evangelico, quella di un
uomo della provvidenza, colto, devoto e poliglotta, capa-
ce, coi suoi «steady blue eyes» e la sua energia, di donare
«con l’estinzione di quell’antica religione di assassini» un
altro bel gioiello alla corona imperiale22. È Sleeman, o –
come veniva chiamato negli ambienti della Compagnia
delle Indie orientali – thuggee Sleeman, a propaganda-
re l’idea dell’esistenza di un «sistema thug» inteso come
«one single tree spreading over India from the Indus to
Cape Comorin. Find one branch, follow it and you will
fill your way down the stem on the root. Cut it there and
20 Schwarz cita un repertorio etnografico (R.V. Russell e H. Lal, The Tribes and Castes of the Central Provinces of India, Macmillan, London
1916) in cui i Thug sono inseriti tra i Teli, spremitori di olio, e i Turi, colti-
vatori, e considerati una casta ovvero una «community of murderers»: Con-structing the Criminal Tribes cit., p. 62. Ma si veda anche A.J. Major, State and Criminal Tribes in Colonial Punjab: Surveillance, Control and Recla-mation of the ‘Dangerous Classes, in «Modern Asian Studies», 33, 1999, pp.
21 Si veda il saggio di M. Kumar, Relationship of Caste and Crime in Colonial India: A Dyscourse Analysis, in «Economic and Political Week-
ly», 39, 2004, pp. 1078-87; in generale, per il profilo contemporaneo, Dilip
D’Souza, Branded by Law. Looking at India’s Denotified Tribes, Penguin
22 È il caso della biografia di Sleeman scritta dal nipote: James L. Sleman,
Thug; or a Million Murders, Sampson Low, Marstin and Co., London s. d.
it will fall»23. Ed è sempre Sleeman a fissare l’identità Thug
come qualcosa di irrevocabile e di irredimibile: «Once a
Questa vulgata, ripetuta fino agli anni sessanta del
Novecento da una serie di testi che rappresentano la re-
pressione dei Thugs come un episodio della lotta eterna
tra il bene e il male25, è stata, in epoca più recente e sotto
l’influsso della visione postcoloniale, sottoposta ad una
critica serrata: nelle parole di Christopher Bayly il thug-gee è stato forse il «most celebrated case of orientalist
myth-making», l’esempio topico di quella deformazione
orientalista che Edward Said ha insegnato a pensare26. Più
recentemente tuttavia la storiografia è tornata ad interro-
garsi sul retroterra del mito, chiedendosi quale ne sia il
fondamento, e se non sia il caso di riconsiderare il tema,
assumendo i Thugs come qualcosa di più di una fantasia
orientalista: e se insomma, al di là della rappresentazione
distorta prodotta dall’immaginario coloniale non vi sia
una qualche realtà, un qualche granello di verità27 da rime-
ditare: siamo così in presenza di una sorta di «ritorno dei
Thugs», di una discussione impegnata su cosa vi sia alla
base della costruzione dello stereotipo e della stessa rap-
presentazione storiografica. Una discussione che rappre-
senta un esempio da manuale del contrasto tra una visione
postmoderna ispirata a principi decostruzionisti e la più
recente prospettiva del New Realism, tanto in voga oggi28.
23 Tuker, Yellow scarf. The story of the life of Thuggee Sleeman or Ma-jor-general Sir William Henry Sleeman, Dent, London 1961, p. 39.
24 Kevin Rushby riporta una frase del Lieutenant-Colonel William
Nembhard per il quale un criminale è tale dall’inizio e sarà tale sino alla fine,
sostenendo «that reform is impossible… it his religion to commit crime»,
Children of Kali cit., p. 173.
25 Popolarizzata poi da testi come G. Bruce, The stranglers: the cult of Thuggee and its overthrow in British India, Longmans, London 1968; F.
26 C.A. Bayly, Empire and information: Intelligence Gathering and So-cial communication in India 1780-1870, Cambridge U.P., Cambridge 1996,
p 173. Ma si veda la brillante sintesi delle posizioni decostruzioniste nell’ar-
ticolo di Federico Rampini su «la Repubblica» del 20 marzo 2008, La setta dei Thugs e l’ultima crociata, pp. 34-5.
27 Precisamente, citando James Frazer, «a kernel of truth»: Wagner,
Banditry and the Britisch cit., p. 156.
28 Si veda ad esempio l’intervista di Maurizio Ferraris a Gianni Vattimo:
Post moderni o neorealisti? L’addio al pensiero debole che divide i filosofi, in
«la Repubblica», 19 agosto 2011, p. 48. Il libro attorno a cui si è avviata la
discussione è quello di J.R. Searle, La costruzione della realtà sociale, Einau-
Una discussione, di conseguenza, che interessa non solo la
setta dei Thugs ma anche quella degli storici.
1. Decostruire la visione tradizionale
Quando iniziano e quando finiscono i Thugs? Appa-
rentemente la risposta è semplice: iniziano più o meno da
quando il dottor Sherwood prende a parlarne e finiscono
con l’efficace campagna di repressione organizzata da Sle-
eman lungo il decennio degli anni trenta. Al 1840 3433
Thugs erano stati processati e condannati e di questi 446
impiccati e 933 condannati all’ergastolo, oltre a 208 de-
ceduti in carcere prima del giudizio29. Apparentemente,
dunque si tratta di un fenomeno limitato, circoscritto nel
I Thugs sono stati importanti ben dopo il 1840 per
diversi ordini di ragioni. La prima è che attraverso essi
si è costruita un’immagine di criminali tenuti insieme e
sospinti non dal mero desiderio di lucro ma da un’affinità
profonda, un legame di tipo religioso. Gran parte del suc-
cesso della mitografia sui Thugs deriva da quest’idea. Poi,
certo, attraverso i Thugs si è venuta affermando la nozione
di una setta di criminali di professione che si trasmettono
il «mestiere» per via ereditaria. Infine, la struttura opera-
tiva di cui Sleeman diverrà il soprintendente generale, il
Thuggee Department, è stata una sorta di «laboratorio»
dove sono state messe a punto delle tecniche straordinarie
di repressione sintetizzabili nella creazione di incontrol-
late liste di sospetti e nelle ritorsioni sui parenti dei ricer-
cati per ottenerne la consegna; nell’uso su larga scala delle
rivelazioni di approvers, collaboratori in grado di fornire
rivelazioni di prima mano (in Italia diremmo «pentiti»)
ottenute grazie alla promessa di un trattamento di favo-
re; nella tendenza a concentrare i giudizi in corti speciali,
sottraendo gli indiziati al proprio giudice naturale, trasfe-
rendoli in corti distanti ma più malleabili, e giudicando-
li al di fuori della legge islamica (che non ammetteva gli
approvers) e della corte suprema dei territori conquistati,
29 Constructing the Criminal Tribe cit., pp. 58-61.
la Nizamat Adalat30; e infine nella «politicizzazione» del-
la repressione, vale a dire, nell’estrema attenzione rivolta
agli effetti mediatici e alle reazioni dell’opinione pubblica
Per quel che riguarda la costruzione del mito è impor-
tante sottolineare la parte che, oltre alla novella di Mead-
ows Taylor vi ha avuto lo stesso Sleeman. La pubblica-
zione da parte sua nel 1836 di Ramaseeana, una sorta di
vocabolario del linguaggio ritenuto peculiare dei Thugs,
ne rappresenta un momento importante31. L’idea che i
criminali avessero un loro gergo, slang, o come si diceva
in Francia, un argot – chiamato Ramasee - non era inve-
ro originale. Ma, certo, la costruzione di un testo siffatto
serviva a rafforzare l’idea che i Thugs fossero un’entità
distinta, riconoscibile – secondo le categorie dell’idea ro-
mantica di popolo32 – da due elementi fondanti: le tradi-
zioni, specie quelle religiose, e la lingua. Sleeman lavorerà
intensamente su entrambi questi aspetti e forgerà l’im-
magine di un gruppo sociale di assassini ereditari, acco-
munati da un culto strano e funesto, da particolari riti di
iniziazione e da un linguaggio proprio. Se fino ad allora
i Thugs, non dissimilmente da altri criminali come i Da-coits, erano visti come una congerie di banditi da strada,
confusi nella miriade di grassatori e di soldati sbandati
che popolavano in quegli anni i territori assunti sotto il
30 Tom Lloyd ha messo in evidenza come nel primo processo ad una
banda di Thugs uno dei prigionieri, un contadino di 16 anni chiamato Ghu-
lam Hussain confessava di aver fatto parte di una banda di Thugs guidati dal
tal Ujba; il processo, prima esaminato nella locale corte della Bareilly Divi-sion nel novembre 1810, verrà però annullato dalla Nizamat Adalat nel 1812.
Ghulam Hussain aveva infatti confessato che le sue precedenti deposizioni
erano state estorte da un sergente della polizia indiana: Liminal ‘Criminals’:
Rethinking historiographies of, and through, the ‘Thuggee’ Phenomenon, in
«History Compass», 5, 2007, pp. 362-74, in particolare p. 364; ma si veda
anche Acting in the Theatre of Anarchy: the Anti ‘Thug Campaign’ and Elaborations of Colonial Rule in Early Nineteenth-Century India, in «Ed-
inburgh Papers in South Asian Studies, 19, 2006, pp. 1-30.
31 Ramaseeana, or A vocabulary of the peculiar language used by the Thugs with an introduction and appendix, descriptive of the system pursued by that fraternity and of the measures which have been adopted by the su-preme government of India for their suppression, G.H. Huttman, Military
Orphan Press, Calcutta 1836; di Sleeman si veda anche il voluminoso Ram-bles and recollections of an Indian official, J. Hatchard, London 1844.
32 Rimando su questo tema al mio, Il popolo che abbiamo perduto. Note sul concetto di cultura popolare tra storia e antropologia, in «Giornale di
storia costituzionale», 18, II semestre 2009, pp. 151-78.
dominio della East India Company33, Sleeman ha usato
l’identificazione religiosa (a pure system of religion) come
uno strumento di delimitazione di uno specifico gruppo
criminale, descritto come coeso e uso a radunarsi nel tem-
pio di Bindachul, poche miglia ad ovest di Mirzapur, sul
Tutti gli elementi di questa classica vulgata34 su quella
setta che la stampa aveva chiamato ai tempi di Sleeman la
Thug-fraternity sono stati naturalmente sottoposti, all’in-
domani dell’indipendenza indiana, al vaglio di una serrata
critica. In quello che è forse il primo testo «decostruzio-
nista» sul tema, scritto nel 1958, Hiralai Gupta attaccava
frontalmente la composizione stessa del cosiddetto Thug-gee archive, vale a dire la raccolta delle deposizioni degli
approvers raccolte da Sleeman e gli atti giudiziali connessi.
A parte i pregiudizi evidenti introdotti dallo stesso Slee-
man che tratta i Thugs come una casta e il loro sistema
criminale come una sorta di «natural pastime», non vi è
evidenza, argomenta Gupta, né che i Thugs costituisca-
no un gruppo sociale esclusivo ispirato dalla religione,
né che abbiano un’organizzazione unitaria, né che le loro
origini debbano essere riferite a tempi immemoriali35.
La vulgata sui Thugs avrebbe dato coerenza ad elementi
sparsi che dovrebbero invece essere ricostruiti in modo
separato e distinto. Muovendosi sulla stessa scia sarà poi
Stewart Gordon, negli anni sessanta, a decostruire il con-
cetto di autonomia culturale dei Thugs: osservando che
molte delle pratiche loro attribuite, come ad esempio il
coinvolgimento religioso prima di una spedizione, l’uso
di ritenere sacri particolari oggetti, la credenza nei presagi,
o anche la specializzazione dei compiti all’interno di una
gang, lungi dall’essere specifici dei Thugs erano comuni
ad un più vasto universo sociale36. Piuttosto che veder-
li come appartenenti ad una fratellanza criminale estesa
a livello nazionale, i Thugs vanno viceversa considerati
33 Si veda in questo senso la prima descrizione dei Thugs apparsa sul
«New Monthly Magazine», XI, 1819, n 63, p. 258.
34 Ne è esempio estremo C. Trevelyan, Christianity and Hinduism con-trasted, Longamans Greens and co., London 1882.
35 H. Gupta, A critical study of the Thugs and their activities, in «Jour-
nal of Indian History», 37, 1959, pp. 167-77.
36 S.N. Gordon, Scarf and Sword, Thugs, Marauders and State-Forma-tion in 18th Century Malwa, in «Indian Economic and Social History Re-
dei criminali stagionali, fortemente radicati nelle proprie
comunità e in strutture di potere locale scosse dalla crisi
dell’impero Moghul, e dalla sconfitta prima dei Maratha
e poi dei Pindaris. Lo stesso termine thug sarebbe solo
l’appropriazione di un generico termine indiano per dare
senso a fenomeni poco compresi dal potere britannico, un
termine attribuito indiscriminatamente alle diverse bande
di mercenari/predatori al servizio dei grandi proprietari
terrieri (Zamindars) o dei potentati locali (Rajas).
A partire dagli anni ottanta l’approccio decostruzio-
nista, rafforzato dalla ispirazione saidiana circolante nella
prima letteratura postcoloniale (va ricordato che nel 1980
Ranahijt Guha fonda i Subaltern Studies) ha attaccato la
«leggenda» dei Thugs come una costruzione orientalista
che rivela più delle preoccupazioni e delle esigenze dell’in-
terprete coloniale di quanto dica della realtà colonizzata.
In discussione è stata sin dall’inizio la figura di Sleeman,
questo «solitary english man»37, mezzo consumato esege-
ta e mezzo eroico detective, capace di decifrare le trac-
ce e di entrare, per così dire, nella mente dei Thugs. Una
virtù, quest’ultima, resa necessaria dalla loro delineazione
pregressa come individui proteiformi, virtuosi dell’arte
di camuffarsi, dissimulare, travestirsi. Da qui l’insistenza
per l’identificazione dell’identità astrattamente intesa, di
un’appartenenza da scoprire ed assegnare e che in pratica
sostituisce l’accertamento dei crimini concreti.
Studiosi come Amal Chatterjee38, Sandria Freitag39,
Maire Ní Fhlathúin40 e Parama Roy41, in particolare, han-
no lavorato sulle caratteristiche della «grande narrazione»
costitutiva dell’immaginario del criminale thuggee, una
tradizione ineluttabilmente discorsiva, al cui cuore sta,
37 M. Ní Fhlathúin, That Solitary Englishman: W.H. Sleeman and the Biography of British India, in «Victorian Review», 27, 2001, pp. 69-85.
38 A. Chatterjee, Representations of India 1740-1840. The creation of India in the colonial imagination, St.Martin Press, New York 1998, specie
39 Crime in the Social Order of Colonial North India, in «Modern Asian
40 The Travels of M de Thevenot through the Thug Archive, in «Journal
of the Royal Asiatic Society, 11, 2001, pp. 32-42; The Campaign against Thugs in the Bengal Press in the 1830’s, in «Victorian Periodical Review»,
41 Indian Traffic: Identities in Question in Colonial and Postcolonial In-dia, University of California Press, Berkeley 1998, e specialmente il secondo
capitolo, Discovering India, Imagining Thuggee, pp. 41-70.
secondo Parama Roy, un concetto ibrido, che mescola
un’eccezionale figura criminale, delineata come rappre-
sentativa del costume Hindu e un’ossessione coloniale di
stampo psicotico. Questo tipo ideale di criminale sareb-
be poi delineato in modo essenzialmente duplice e anzi
intimamente polarizzato: radicato in coese comunità di
villaggio ma anche nomade, simpatetico ma assetato di
sangue, portatore di costumi diabolici ma capace di azioni
razionali, talora anche nobili e cavalleresche, più spesso
Un altro aspetto di contestazione si è diretto contro le
fonti stesse del discorso sui Thugs. Le confessione degli
approvers – si è sostenuto – sono frutto di un prearranged script. Dichiarazioni estorte sulla base di una prassi pre-
miale e di punizioni corporali, volte a confermare ciò che
non può essere definito altrimenti che un tropo, un di-
scorso autoalimentato costruito su figure di oscurità, di
mistero, di imprevedibilità e di inattesa minaccia. In bre-
ve, la storia dei Thugs, della loro identificazione e della
loro repressione, non sarebbe altro che un racconto, una
fiction al servizio degli interessi del potere britannico, uti-
le per delineare il contrasto tra la religione vera e quella
falsa, e per rimarcare la superiorità dei civilizzati europei
sui primitivi indiani. La caccia ai Thugs sarebbe in fondo
solo una caccia ad allucinazioni, un discorso autoreferen-
ziale, dietro cui non vi è alcuna «realtà storica».
Se una parte della critica decostruzionista si è dedicata
ad analizzare i Thugs come costruzione mitica, e ha focaliz-
zato perciò la sua attenzione sulla tradizione letteraria che
ne ha accompagnato e seguito la repressione, altri studiosi
hanno cercato di approfondire in altra maniera il contesto
storico che ha reso possibile lo scatenarsi della «caccia ai
Thugs». Una delle ragioni dell’avvio della campagna con-
tro i Thugs è stato così individuato nella necessità di riaf-
fermare il dominio della East India Company in territori
turbolenti, segnati da una serie di ribellioni, attraversati
da masse di soldati sbandati e di nomadi dediti ad atti di
violenza e saccheggio, e con la difficoltà supplementare
di dover proteggere i traffici di oppio sui quali la com-
42 È da notare come Erving Goffmann, in La vita quotidiana come rap-presentazione, il Mulino, Bologna 1969 (ed. or. 1959), abbia elaborato alcune
riflessioni sulla duplicità di comportamento dei Thugs basandosi su infor-
mazione tratte da Thugs or a Million Murders cit., pp. 219 e 255.
pagnia aveva stabilito un lucroso monopolio43. La nuova
logica repressiva si afferma – senza essere stata sollecitata
dai latifondisti, gli zamindars, o dalle autorità locali – gra-
zie alla retorica della riforma morale e sociale che agita la
cultura inglese negli anni venti, sia in senso evangelico che
utilitarista. In particolare i territori di Sagar e Narmada
(nel Madhya Pradesh), quelli in cui verrà lanciata la cam-
pagna di Sleeman, erano di recente acquisizione da par-
te della Compagnia dopo la terza guerra Anglo-Maratha
(1817-18), e perciò ancora debolmente controllati. È in
questa situazione, ha osservato Radhika Singa, che viene
creato, non senza frizioni con gli apparati giuridici stabili-
ti, un sistema repressivo straordinario, dotato cioè di una
discrezionalità amministrativa tale da creare «new areas of
executive discretion in the interstice of rule of law»44. Una
serie di «provvidenziali circostanze»45, una situazione di
emergenza creata dalle guerre, da cogenti interessi eco-
nomici e dalla retorica della rigenerazione morale, hanno
in sostanza facilitato il sorgere del «despotism of law», e
cioè di una campagna repressiva giustificata da principi
umanitari e riformatori ma in sostanza condotta in sfida
a molti assunti basilari della giurisprudenza inglese, che
vorrebbero la rule of law incentrata su un individuo libe-
ro, astratto e universale, e alla stessa immagine illuminata
che gli inglesi avevano di sé stessi.
L’apparizione di quello che può essere considerato il
primo moderno lavoro scientifico interamente dedicato
ai Thugs, il libro di Martine van Woerkens46, rappresen-
ta una sfida intellettuale a questa impostazione culturale,
e per certi aspetti una resurrezione della tradizionale vi-
sione coloniale del fenomeno del thuggee. Per un verso
43 Singha, A Despotism o f Law cit., pp. 172-4.
45 R. Singha, ‘Providential’ Circumstances: The Thuggee campaign of the 1830s and Legal Innovation, in «Modern Asian Studies», 27, 1993, pp.
46 M. van Woerkens, Le voyageur étranglé. L’Inde des Thugs, le colo-nialisme et l’immaginaire, Albin Michel, Paris 1995; ma il libro non entra
davvero nel dibattito se non dopo la sua traduzione in inglese per i tipi della
la ricerca di van Woerkens, che dedica pagine impegna-
te alla costruzione mitica dei Thugs, ed in particolare alla
tradizione letteraria che risale a Meadows Taylor, indaga
le caratteristiche della fantasia orientalista, soffermandosi
sulla sua crucialità per definire l’intero sistema coloniale;
ma per altro verso sostiene che, al di là della distorsione
conoscitiva che essa produce, i Thugs hanno costituito
una realtà storica in sé, precedente all’imposizione del do-
minio coloniale, una realtà che è perciò possibile indagare
nei suoi propri termini. Van Woerkens riconosce che il
thuggee archive è stato costruito da Sleeman per giustifi-
care le propria attività repressive, ne soppesa attentamente
i limiti conoscitivi e pur tuttavia, malgrado la riconosciuta
problematicità dei testi, afferma che i dati in esso contenu-
ti ci permettono comunque di avvicinare l’esistenza di un
gruppo sociale tenuto insieme da una religione depravata
ma costitutiva di una ben definita dimensione identitaria.
Se le confessioni degli approvers suscitano comunque dif-
fidenza, viceversa la raccolta di termini usati dai Thugs
realizzata da Sleeman con il Ramaseeana va – secondo
van Woerkens – rivalutata: essa può essere riutilizzata per
indagare modernamente, attraverso la lingua, l’esistenza
di un soggetto collettivo, penetrarne nelle tradizioni e nei
costumi, studiarne l’attitudine sociale e culturale. L’ana-
lisi di circa 600 termini del linguaggio segreto dei Thugs
permetterebbe così di circoscrivere una consorteria molto
nettamente definita: Certo, van Woerkens riconosce che i
Thugs vanno studiati nel contesto dell’emergere di gruppi
simili, come i già citati Pindaris, i Nagas (adepti di Shiva
e dediti alla protezione di brahmini e santuari) o i Ban-jaras (specie di zingari mandriani che approvvigionavano
l’esercito). Tutti costoro, per la verità, sono stati costretti
dalla conquista britannica a mutare la propria occupazio-
ne e a ridefinire la propria identità e, in parte, i propri co-
stumi: ma questo quadro assai mosso e complicato non
conduce van Woerkens a porre in dubbio la natura spe-
cifica del thuggee come fulcro identitario di un gruppo
preciso. Sicché, dopo un bilancio finale delle deposizioni
degli approvers, che mostra l’incatenamento ricorrente e
convergente delle loro azioni, la conclusione è che «Ce
bilan donne raison aux colonisateurs. Les thugs sont des
redoutables criminels» che operano secondo schemi fissi
culturalmente e religiosamente determinati47. Schemi che
van Woerkens tende a proiettare all’indietro nel tempo
cercando (e trovando) analogie con pratiche diffuse addi-
rittura nel mondo antico e nell’universo culturale Sufi, e
finendo per considerare così il thuggee una corruzione di
In ragione di queste contraddizioni il libro di van
Woerkens, se per certi versi ha aperto la strada alla ri-
proposizione della screditata vulgata coloniale sui Thugs
– un’opportunità colta al volo recentemente dal popola-
re giornalista-storico Mike Dash, che esplorando nuovi
documenti della East India Company a Londra, Delhi e
Bhopal è riuscito nell’impresa di confermare e rivaluta-
re la narrazione tradizionale48 – per altri versi ha offerto
spunti per un ripensamento generale del tema, un compito
intrapreso con grande impegno da Kim A. Wagner. In un
importante libro e in una serie di articoli Wagner ha inteso
mostrare come l’identificazione degli elementi-chiave del-
la costruzione orientalista non autorizza comunque a con-
siderare tutti i materiali prodotti dal thuggee archive come
un discorso chiuso in sé stesso. Essi permettono invece
di intravedere, al di là di un velo ideologico distorcente,
sprazzi di realtà occultata Mentre infatti «there can be no
doubt that the colonial account of thuggee as formalized
during the 1830’s was at large extent a misrepresentation
and that the sources produced by the British should be
used with the greatest circumspection»49 è possibile, inte-
grando i documenti noti con testimonianze previe e osser-
vazioni tratti dall’esperienza sul campo (condotta nel caso
di Wagner nel villaggio di Sindouse nell’Uttar Pradesh),
giungere a determinare cosa è vero e cosa è falso nella tra-
Nella ricostruzione di Wagner, largamente incentrata
su Sindouse, il thuggee non è una pratica primitiva ma un
48 M. Dash, Thugs: The True Story of India’s Murderous Cult, Granta,
London 2005: in conclusione della sua indagine Dash osserva che troppi
corpi furono esumati per dubitare che davvero gangs di thugs infestassero
le vie di lunga percorrenza, troppi sospetti thugs, identificati dagli informers
e ritrovati con oggetti rubati per dubitare che thuggee itself was real, ivi, p.
218.49 K.A. Wagner, Thuggee and social banditry reconsidered, in «The His-
aspetto della militarizzazione della popolazione avvenuta
già durante il periodo Moghul e poi nella fase di disgre-
gazione dell’impero e di conquista coloniale. Si tratta di
una sorta di banditismo stagionale (che inizia dopo il rac-
colto e termina con la stagione dei monsoni) ben radicato
nella comunità di villaggio. Gli Zamindars non di rado
finanziavano le spedizioni banditesche, anticipando del
denaro che poi veniva restituito con interesse. A queste
razzie organizzate, volte a depredare i viaggiatori, parteci-
pava una sezione della comunità del tutto eterogenea: vi si
incontravano membri di varie caste, praticanti indifferen-
temente la religione hindu o quella musulmana, individui
legati a differenti Zamindars, gente che si dava al Thuggee
saltuariamente mescolati con altra gente che lo praticava
abitualmente: un modello, osserva Wagner, derivato da
quello dei soldati mercenari stagionali, da cui i Thugs tra-
evano anche quadri valoriali di comportamento definibili
da gallant spirits o da guerriero-gentiluomo (non uccidere
donne, non infliggere sofferenze inutili etc.)50. Insomma il
Thuggee era una modalità criminosa, non un ben definito
soggetto criminale. Con le parole di un luogotenente in-
glese, i Thugs sono persone che si riuniscono in bande per
commettere il thuggee51. La scelta di questa modalità di
comportamento da migrante-razziatore dipende poi lar-
gamente dai mezzi economici: ad un magistrato che chie-
deva a quale tribù appartenesse un Thug, veniva risposto:
«A tutte le tribù. Uno che ha fame diventa un Thug»52.
Il punto centrale, osserva Wagner, è quello delle de-
posizioni degli approvers. È però possibile sfuggire al di-
lemma di credibilità di questi testi allargando l’indagine
ai documenti giudiziari del periodo iniziale di «scoperta»
del fenomeno, a partire cioè dal 1809-10, e a documenti
giudiziari di quell’epoca riportanti dichiarazioni di testi-
moni (e non ancora confessioni di prigionieri). Questa
mossa consente a Wagner di riscontrare sia una fonda-
mentale conferma sia un’altrettanto importante smentita
della costruzione elaborata da Sleeman. La conferma sta
nella descrizione del crimine thuggee, che viene presenta-
50 Ma su questo punto si veda le notazioni di A.L. Macfie, Thuggee: an orientalist construction?, in «Rethinking History», vol. 12, n. 3, settembre
51 Wagner, Thuggee. Banditry and the British cit., p. 162.
to intorno al 1812 con tratti singolarmente simili a quelli
contenute nelle deposizioni degli approvers di vent’anni
dopo. Ora, poiché i britannici a quel tempo non avevano
ancora un’idea consolidata di cosa fossero i Thugs e dato
che non è plausibile che individui diversi in posti distanti
nello spazio e nel tempo descrivano lo stesso pattern cri-
minale, ne consegue che è implausibile negarne l’esistenza
e considerare il thuggee solo un prodotto di fantasia. Se si
tratta di uno stereotipo esso era diffuso localmente e ben
prima che se ne impadronissero i conquistatori britanni-
ci. La fondamentale differenza consiste invece nel fatto
che in questa documentazione primo-ottocentesca non
si riscontra quell’associazione con elementi religiosi così
cara a Sleeman. Il thuggee è descritto come una pratica
sganciata da un quadro di credenze religiose specifiche,
diverse cioè da quelle comunemente condivise dall’intero
corpo sociale. Naturalmente il processo di persecuzione,
le pratiche di imprigionamento e le modalità di otteni-
mento delle deposizioni, come osserva Wagner, hanno
modificato in termini sia concettuali che pratici la natura
del thuggee53. A Sindouse, nel 1812, il termine thug era
invece ancora usato in modo indifferenziato ed inter-
scambiabile con altri termini che descrivevano operato-
ri del mercato militare come ad esempio sepoy (soldati)
o mewatis (mercenari)e in generale tutti i razziatori su
committenza.Interscambiabilità di termini che rifletteva
un’interscambiabilità di ruoli: come il caso di un kazak,
un bandito a cavallo che, avendo perduto il destriero, si
fa Thug54. Essere Thug, in breve, non significava essere
ascritti a un’identità di casta, né far parte di una setta orga-
nizzata centralmente né ancor meno essere motivati da un
credo religioso ma praticare, talora abitualmente ed anche
seguendo tradizioni familiari, «a predatory lifestyle under
well regulated circumstances by men thus deprived of the
means for open plunder»55. Il fatto che nelle deposizioni
degli anni Trenta (a differenza di quelle di un ventennio
prima) gli approvers si diffondano in descrizioni dei culti
religiosi associati in vario modo alle razzie deriva – osser-
va Wagner – dal bisogno di conformarsi alla percezione
ufficiale per risultare credibili e rendere performante la
In breve, la conoscenza coloniale, osserva Wagner, è
qualcosa di più complesso e bidirezionale di quel discor-
so chiuso e autoreferenziale che la tradizione decostru-
zionista suppone, dipingendola come la semplice proie-
zione sull’altro di una sorta di schema fisso d’ispirazione
orientalista. Narrazioni del thuggee, e anche stereotipi ad
esse connessi, emergono entro specifici contesti storici,
sospinti da diverse congiunture ed animati da differenti
credi, pregiudizi e percezioni, tanto britannici quanto in-
diani. La conoscenza coloniale si costruisce, certo, attra-
verso distorsioni, incomprensioni e riduzioni di signifi-
cato, ma anche mediante dialogo e negoziazione, «and in
this respect colonial knowledge was reflective of different
voices»57. Anche utilizzando i materiali prodotti dalla re-
pressione, osserva Wagner, è perciò possibile, lavorando
per scarti58, raggiungere qualche elemento di verità: per-
ché alla fine qualcosa è davvero successo, i Thugs sono
davvero esistiti e le loro voci possono ancora raggiunger-
ci59. Si tratterebbe alllora di avvicinare la realtà indiana – e
anche quella dei Thugs – in modo da restituire spessore
ad azioni che, per quanto fraintese e manipolate, hanno
mantenuto nel tempo una significativa coerenza, forgian-
do un patrimonio identitario rintracciabile ancora oggi tra
3. India e Europa: qualche ulteriore considerazione
In un libro recente Henry Schwarz ha posto in que-
stione l’assunto di Wagner che sia possibile, per così dire,
raggiungere, al di là delle distorsioni sovraimposte dai
pregiudizi coloniali, una «realtà» profonda, intrinseca-
mente più vera, dei Thugs60. Egli ha osservato come non
56 Wagner, Thuggee. Banditry and the British cit., p. 20.
58 Su questo punto (ivi, pp. 15-7) Wagner si richiama a Carlo Ginzburg e
cita anche a raccolta di saggi curata da E. Muir e G. Ruggiero, History from Crime: Selections from Quaderni Storici, The Johns Hopkins U.P., Balti-
60 Schwarz, Constructing the Criminal Tribe cit.
esista una natura dei Thugs pensabile come autonoma,
passibile di una sorta di «rivelazione» quando liberata dal-
le incrostazioni dello stereotipo colonialista sovraimposto
ad essa. Di più, non esiste, osserva Schwarz, un «essere»
dei Thugs distinto dal processo di repressione con cui
essi sono stati identificati, combattuti e segregati. La loro
esistenza come soggetti/oggetti di conoscenza non è cioè
separabile dagli sforzi compiuti per trovargli un’ordinata
collocazione nella gerarchia del già conosciuto; e per di-
struggerli come una pericolosa forma di violenza organiz-
zata di natura intimamente sovversiva. In altre parole, essi
sono venuti costruendosi in una stretta interrelazione con
le idee elaborate per pensarli e con le griglie concettuali
fissate per definirli. È sbagliato pensare che la conoscen-
za coloniale produttrice di stereotipi sia segnata da una
sostanziale incomprensione della realtà sociale indiana e
che, di conseguenza essa ne rimanga, per così dire, «ester-
na»: essa è piuttosto un processo di «costruzione» dei suoi
propri oggetti e in ultima analisi della realtà stessa. Questo
non vuol dire che i Thugs siano stati solo uno stereotipo,
ma che, senza la creazione di quello stereotipo, essi non
sarebbero stati gli stessi. I Thugs per come li abbiamo co-
nosciuti sono dunque un impasto complesso di pratiche
banditesche e di pregiudizi coloniali in un contesto di ele-
vata conflittualità. Una conflittualità, peraltro, non desti-
nata a cessare con la repressione: i territori della campagna
di Sleeman, Sagar e Narmada, (parte delle famose ceded and conquered provinces), saranno infatti protagonisti di
una rivolta nel 1843 e parteciperanno poi nel 1857-8 quella
vasta insurrezione conosciuta come The Great Rebellion,
o alternativamente The India’s First War of Independence
o The Indian Mutiny, un moto che segnerà un punto di
svolta dell’intera storia indiana, portando alla dissoluzio-
ne della East India Company ed al passaggio del controllo
diretto della Corona con la creazione del British Raj.
Seguendo il filo di queste considerazioni c’è da chie-
dersi se vi sia un rapporto, e quale sia, tra l’elaborazione
di soggetti criminali in ambiti coloniali (elaborazione di
cui i Thugs nel caso indiano sono un prodotto esemplare)
e il processo di definizione nel continente europeo del-
le cosiddette classes dangereuses, controfigura demoniz-
zata delle classes labourieuses. Per l’Inghilterra, secondo
Tobias, uno storico della criminalità ottocentesca, la cre-
denza nell’esistenza di una separate criminal class si dif-
fonde negli anni venti61. Ancora nel 1815-16, i documenti
del Select Committee on Police mostrano come, posti di
fronte alla domanda se esistesse una criminal class, i testi-
moni esperti chiamati a rispondere si rifugiavano in giri di
frasi che additavano quella classe di persone che ordina-
riamente commette crimine, «meaning the poor and the
indigent». Se ci spostiamo un decennio dopo, tuttavia, nel
1828, le domande si fanno più stringenti. A un testimone
davanti allo stesso Select Committee on Police viene chie-
sto «Are the thieves in general low artisans employed in
any trade or business, or are they a class distinct by them-
selves who do nothing but thieve?». La risposta è incerta:
si tratta, dice, di gente che nasce come juvenile delinquent
e che poi cresce step by step. Non hanno trade, per lo più,
ma molti di loro have had trade62. Uno scrittore contem-
poraneo, John Wade, l’anno successivo (1829) commen-
tando le deposizioni, afferma ben più recisamente: «They
are born (thieves), and it is their inheritance: they forme
a caste of themselves, having their peculiar slang, mode of
thinking, habits, and arts of living». E ancora:
Though we are strangers to the institution of castes, yet
children, in the ordinary course, mostly follow the vocation
of their parents. This is observable in the legal profession, in
the army and in the navy, as well as among players and show-
people, mendicats, gypsies and other vagrants63. La conoscenza coloniale, dunque si fa modello per la
comprensione di quei «barbari tra noi» che si iniziano a
«scoprire»: sono indiani d’India, ma anche, dopo il tra-
volgente successo di James Fenimore Cooper (The last of the Mohicans è del 1826) Indiani d’America. Sicché, pel-
lerossa delle praterie attorno al fiume Hudson e banditi
rurali dell’Uttar Pradesh si trasfigurano, grazie alla lette-
61 J.J. Tobias, Crime and Industrial Society in the 19th Century,
63 A Treatise on the Police and Crimes of the Metropolis, Longman,
ratura d’appendice, nei delinquenti urbani che popolano i
Nel 1832 la percezione che i delinquenti costituisca-
no una classe separata della società sembra essere ormai
diffusa; in quell’anno sul «Frases’s magazine» si poteva
infatti leggere la seguente affermazione:
There is a distinct body of thieves, whose life and business
it is to follow up a determined warfare against the constitutd
authorities, by living in idleness and on plunder [.] So very
similar are their ideas, that in a few minutes’conversation with
any one of the party, I could always distinguish them, however
artfully they might disguise themselves, and attempt to mislead
me. [.] They form a distinct class of men by themselves, very
carefully admitting noviciates in their secrets [.] they forme
one club. Alla metà del secolo, poi, idee di questo stampo erano
divenute patrimonio comune sicché la «Eclectic Review»
poteva affermare che la popolazione «pericolosa»: «It is in
very fact a recognised section, and a well-known section,
too, in all towns of great magnitude [.]. It constitute a
new estate, in utter estrangement from all the rest».
Nel caso francese, come già notato da Louis Cheva-
lier65, gli anni decisivi per l’identificazione delle classes dangereuses (ma per l’uso di questo termine bisognerà at-
tendere il libro di Frégier che è del 1840)66 sono quelli che
vanno dalla pubblicazione (anonima) del Code des gens honnêtes di Honoré de Balzac nel 1825 alla stampa dei
Mémoirs di François Vidocq (1828). È Balzac a descrivere
per primo «la repubblica dei ladri», con le loro leggi, i loro
costumi, il proprio argot. E sarà Vidocq, il leggendario
ancien bagnard divenuto capo della brigade de sureté a
proporre già nelle sue memorie e poi nel volume dedicato
ai ladri67 una vera epopea del crimine, fondata sull’idea di
64 Si veda ad esempio Les étrangleurs de Paris, di C. Guéroult e P. De
Couder che nell’edizione di Louis Chappe, Paris 1859, in 3 volumi, è prece-
duto da Les étrangleurs de l’Inde di Joseph Méry.
65 L. Chevalier, Classes laborieuses et classes dangereuses à Paris pendant la première moitié du XIX siècle, Plon, Paris 1958.
66 H.A. Frégier, Des classes dangereuses de la population dans les grand villes et des moyens de les rendre meilleurs, J.B.Bailliere, Paris 1840.
67 F. Vidocq, Voleurs. Physiologie des leurs moeurs et de leur langage,
stampato in proprio, Paris 1837. È da notare come il sottotitolo del testo di
Vidocq (Ouvrage qui dévoile les ruses de tous les fripons, et destiné a deve-nir le vade Mecum de tous les honnêtes gens) sia una citazione esplicita del
testo di Balzac il sui sottotitolo a sua volta recita L’art de ne pas être dupe
avvicinare le bon bourgeois all’universo underground, e,
per così dire, di «immergere» il lettore nei bassifondi so-
ciali, quelli dove germina il male: con la garanzia di veridi-
cità assicurata dalla propria conoscenza di prima mano del
fenomeno. Un’idea che, popolarizzata grazie all’inven-
zione del feuilleton, condurrà in quegli anni alla nascita
del grande romanzo noir di ambientazione plebea.Com’è
stato osservato, Vidocq, nella descrizione di questo mon-
do «altro», è fondamentale in quanto costruisce una vera
epropria tassonomia del crimine, distinguendone specia-
lizzazioni, regole, tratti tipici, fissandone caratteristiche e
stabilendo i termini del loro «linguaggio speciale»68.
C’è da chiedersi se, nella delineazione del Ramaseea-na Sleeman non avesse presente l’orizzonte mentale che
questi discorsi venivano producendo. Il successo delle
memorie di Vidocq era stato del resto notevole ed erano
state subito tradotte in inglese69. Le somiglianze derivano
dall’adozione da parte di Sleeman della struttura soggia-
cente ai testi francesi di quegli anni: l’idea romantica che
un gruppo sociale (trattato come un popolo) sia identi-
ficato dai suoi tratti fisici e comportamentali, dalle incli-
nazioni, dalle tradizioni culturali, dalla religione e dalla
A sua volta poi, testi come il Ramaseeana (o come la
novella di Meadows Taylor)circolarono largamente in
Inghilterra producendo in quelle stesse dangerous clas-ses significativi processi di identificazione. È famoso (ne
scriverà Engels nel suo saggio sulle condizioni della clas-
se operaia inglese70 e anche Carlyle nel suo volume sul
Chartism)71 il processo ai cosiddetti Glasgow Thugs, che
prese il via nella corte d’Assise di Edimburgo l’11 gennaio
1838. In realtà si trattava di operai filatori dei cotonifi-
ci di Glasgow, riuniti sin dal 1816 nella Cotton-Spinners’
68 R. Messac, La “detective novel” et l’influence de la pensée scientifique,
69 Sleeman comunque conosceva bene il francese, avendo tra l’altro spo-
sato, a 40 anni, una giovane nobildonna francese, Amélie Joséphine, figlia
del conte Blondin de Fontenne, espatriato durante la Rivoluzione. Pare che
la moglie non parlasse bene l’inglese perché Sleeman le parlava in un fran-
cese fluente e le comprava gli ultimi libri usciti in Francia. Tuker, Yellow
70 F. Engels, The condition of the Working Class in England in 1844, cito
dall’ed. del 1892 con nuova introduzione, Swan Sonenschein, London 1892
(ed or. 1845; I ed. inglese 1885), p. 221.
71 T. Carlyle, Chartism, James Fraser, London 1840, pp. 41, 66 e 73. Union e processati per una serie di episodi illegali connes-
si a scioperi e dimostrazioni, tra cui il ferimento di diversi
knobsticks, crumiri. Accusati di cospirazione essi avevano
adottato con orgoglio l’epiteto di Thugs, forse attribuito
Che i legami culturali tra madre-patria britannica e co-
lonie d’oltremare siano più complessi e tortuosi di quanto
supponga una visione polarizzata o meramente dicotomi-
ca lo dimostra ampiamente il recupero e la reinvenzione
della tradizione cultural-religiosa e spirituale indiana in
chiave esoterica e teosofica e la connessa diffusione di to-poi al confine tra mistica e prestidigitazione73. Rimanendo
sul piano della storia della criminalità un esempio assai
interessante è l’episodio, invero poco studiato, dei Tusma-
Baz Thugs. All’inizio del secolo XIX un britannico, certo
Creagh, aveva iniziato tre nativi indiani al «pricking the
garter», un gioco di abilità truffaldina, e popolarizzato
poi localmente come Tusma-bazee. Nel 1848 un gruppo
di discepoli indiani di Creagh, con precedenti per reati
connessi al gioco, viene processato per aver organizzato
nella zona di Cawnpore un giro di scommesse su gare
truccate praticate all’aperto, con la copertura della loca-
le polizia corrotta, che riceveva un quarto dei guadagni
della truffa. Nel processo gli imputati vengono accusati di
aver costituito un’associazione criminale, dedita al furto,
capace di forte solidarietà al proprio interno ed incline an-
che all’omicidio mediante droghe74. E per questo ricevono
l’appellativo, non sappiamo quanto fatto proprio, di Tu-
sma-baz Thugs. Certo, chiamarli Thugs osserva Hutton,
è evidentemente a misnomer, perché essi non hanno nes-
suna delle caratteristiche dell’antica fraternità e non fanno
riferimento a motivi religiosi75: si tratta solo – ammette
– di bande organizzate di ladri vaganti che preferiscono la
Così, applicato in diversi contesti alle più strane cir-
costanze, il termine thug ha finito per perdere la sua va-
72 Si veda The trial of Thomas Hunter, Peter Hackett, Richard M’Neil, James Gibb and William M’Lean, the Glasgow cotton-spinners before the High Court of Justiciary at Edinburgh…,William Tait, Edinburgh, 1838.
73 Si veda ad esempio il gustoso P. Lamont, La leggenda della corda e del bambino che scompare, Neri Pozza, Vicenza 2004. Ringrazio Antonio
Menniti per avermi segnalato questo testo.
74 Hutton, A popular account cit., pp. 98-9.
lenza propria e ha riassunto da tempo nella lingua inglese
una valenza generica di «teppista» simile al suo originale
significato. Al contempo i Thugs come soggetto mitico
hanno viceversa attraversato l’immaginario occidentale,
incarnando il prototipo del male nella sua forma organiz-
zata, quella della setta assassina. E nutrendo nei più vari
paesi (in Italia soprattutto grazie a Salgari) una letteratura
fantastica che ha avuto grande risonanza, giungendo sino
a noi e divenendo occasione di ulteriori prestiti e manipo-
lazioni, anche sul filo della nostalgia di quello che potrem-
mo chiamare l’Oriente che abbiamo perduto: come recita
la canzone76, Yanez de Gomera, se regordet cume l’era?
76 Si tratta di Yanez, canzonescritta in dialetto tramezzino o laghèe dal
cantautore Davide Bernasconi, in arte Davide van De Sfroos.
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A pooled analysis of two placebo-controlled trials ofdesvenlafaxine in major depressive disorderDaniel Z. Liebermana, Stuart A. Montgomeryb, Karen A. Tourianc,Claudine Brisardd, Gregory Rosasc, Krishna Padmanabhanc,Jean-Michel Germaind and Bruno PitroskydThe efficacy, safety, and tolerability of desvenlafaxineand placebo, respectively; magnitude of effect = – 0.37(administered as desvenlafaxi