Famiglie, siate una pagina di vangelo scritta per il nostro tempo

FAMIGLIE, SIATE UNA PAGINA DI VANGELO SCRITTA PER IL NOSTRO TEMPO! Santa Maria degli Angeli, 19 Ottobre 2008 Care famiglie della nostra Umbria, saluto voi qui presenti e, attraverso voi, tutte le famiglie della regione, quelle che vivono la gioia d’un amore pulito, fors’anche faticoso, ma certamente fedele, e quelle che hanno conosciuto l’amarezza del fallimento. Se siamo riuniti in questo luogo sacro alla memoria di san Francesco, è anche per ritrovare lo spirito giusto con il quale vivere l’amicizia e l’amore sponsale, che ha connotazioni che lo avvicinano all’amore trinitario. Il matrimonio cristiano infatti è un sacramento ricco di quel plusvalore che è la grazia, e cioè lo stesso amore di Dio che si comunica agli sposi attraverso un amore umanissimo che si fa, come dice papa Benedetto, eros e agape. Ed è uno spirito di lode a Dio per il dono della vocazione matrimoniale, ed anche di umiltà per chiedere con la preghiera l’aiuto necessario a costruire la chiesa domestica, frammento del corpo ecclesiale di Cristo. Ricordiamo la calda esortazione di papa Giovanni Paolo II: “Con l’aiuto di Dio fate del Vangelo la regola fondamentale della vostra famiglia, e fate della vostra famiglia una pagina di Vangelo scritta per il nostro tempo”. 1. La Parola di Dio ci ha offerto quest’oggi uno spunto di riflessione di grande attualità culturale e sociale: il rapporto tra fede e laicità, proposto a Gesù da farisei ed erodiani per metterlo in imbarazzo, con la domanda capziosa: è lecito pagare o no le tasse al romano invasore? Conosciamo la risposta assolutamente laica di Gesù: “Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio!”. I cristiani hanno saputo ben intendere la parola di Gesù: alle autorità politiche, che governano la vita sociale e ricercano il bene comune secondo i criteri di giustizia e di libertà, vada il rispetto e la sudditanza. “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite – scriverà Paolo ai cristiani di Roma – perché non c’è autorità se non da Dio” (Rm 13,1). A Dio, invece, vada tutto l’onore e la gloria che si deve al creatore e signore del cielo e della terra, perché sua è l’immagine che ci qualifica come uomini e donne, come persone. Così i cristiani fecero sin dall’inizio, rispondendo con fermezza agli ufficiali dell’impero romano, i quali esigevano che i cristiani bruciassero l’incenso del culto religioso dinanzi alla statua dell’imperatore. Di fronte a questa pretesa di adorazione idolatrica i cristiani si sono sempre e dovunque ribellati, non prostituendosi dinanzi alla falsa assolutezza divina dell’imperatore e di chicchessia, e sono morti a migliaia come martiri, e ancor oggi tornano a morire. Il cristiano autentico non s’inginocchia dinanzi a nessun potere umano e a nessun idolo quando pretende d’esser il “mammona” da adorare! Se si inginocchia dinanzi a qualcuno, è solo per lavargli i piedi come a Cristo. Fossimo sempre così in ogni stagione della storia! Non dobbiamo però demonizzarci più di tanto: la storia dei lapsi e dei relapsi ci incoraggia a riprendere in ogni momento l’entusiasmo di guardare al progetto meraviglioso di Dio che, per inserirci nel suo orizzonte paradisiaco di vita, ha scelto il percorso bello e fragile, e tuttavia sempre redimibile, dell’amore sponsale e coniugale: eros, filía, agape. Gesù ci ha però ricordato che “all’inizio non fu così!” (Mt 19,8), e sta a noi riportare l’eros, con fatica quotidiana e con la sua grazia, ai connotati delle origini. 2. Nelle riflessioni di questi due giorni non sono mancati riferimenti e richieste anche di natura sociale economica politica che, come Vescovi, approviamo ed appoggiamo, trattandosi di richieste che vengono da quelle cellule primarie del corpo sociale che sono le famiglie. Se la famiglia è sana, anche la società sarà sana; e se è adeguatamente tutelata, anche la società si ritroverà tutelata, soprattutto dinanzi a quelle implosioni etiche e morali che oggi fanno tanto soffrire, distruttive come sono della stessa unità della famiglia. Verifichiamo spesso, purtroppo!, una sordità istituzionale che privilegia chi ha più potere e grida di più, umiliando di fatto chi non ha voce sufficiente per esternare la propria sofferenza. Ci tocca assistere a quella persistente “emergenza educativa”, che trova ovunque connivenze in nome d’una “libertà-da”, che sconfina nell’arbitrio e nella prepotenza, e poco si cura d’una “libertà-per” aprirsi alla solidarietà, all’esemplarità comportamentale, alla responsabilità. È un grave deficit etico e morale del nostro tempo. La famiglia, soprattutto in questo tempo di crisi, soffre anche per le incertezze del lavoro, della casa, della sicurezza sociale, e persino del legittimo risparmio. Dobbiamo sentirci impegnati a salvaguardare prima di tutto proprio questo primo anello strutturale della società, e cioè la famiglia, mettendo le sue attese al primo posto. Anche se vivono nel disagio, le famiglie sono pur sempre camere di compensazione di tante lacune sociali ed umane, e hanno quindi diritto a non essere lasciate sole e indifese. È su questa priorità peraltro che giudichiamo l’efficienza e la giustizia del potere economico e politico, che non può rinnegare la sua fondamentale ragion d’essere che è quella di tutelare adeguatamente i corpi sociali più indifesi. In questo servizio alla famiglia, come in genere ai più deboli della società, la Chiesa è da sempre in frontiera. 3. Mi è caro parlare della famiglia anche come ineliminabile spazio educativo, chiamato a tirar fuori da ogni figlio che viene alla luce un capolavoro di natura e di grazia, salvaguardando l’innata dignità e libertà d’ognuno. Il “marmo” da scolpire è uguale per tutti, ma non è uguale la mano e il progetto dell’artista umano. I genitori sono questi “artisti” con specifica vocazione per il lavoro educativo: spirituale, morale, relazionale, religioso. La funzione educativa è ancor più importante di quella generativa, dove la natura fa da sé quasi tutto. L’educazione è una grande fatica, certamente, ma anche un grandissimo compito. Anche Maria e Giuseppe ebbero a che fare con il richiamo educativo riguardo a Gesù; a lui dodicenne, fermatosi nel Tempio ad insaputa di tutti, la madre ebbe a dire, con accorato rimprovero: “Perché ti sei comportato così con noi? Siamo stati molto preoccupati per causa tua…” (Lc 2, 49). Eppure Gesù era il figlio di Dio, ma nell’ordine umano la mamma era mamma anche per Lui. Tra le tante questioni educative affiorate nel dibattito ce n’è una che ritengo bisognosa d’una particolare attenzione di noi come Chiesa. Chiediamoci: come trasmettiamo oggi la fede ai figli nella loro ancor giovane età, per identificare “la Voce “tra le tante” voci?”. Come si risponde a Dio che chiama ancor oggi ragazzi e giovani alla fede e al servizio suo e della Chiesa? La fede è grazia, e quindi dono di Dio, ma il dono ha un iter umano che passa abitualmente per la via dell’educazione e della testimonianza personale. Al card. Carlo Maria Martini, che viveva fino a poco tempo fa in Terra Santa, è stato chiesto di spiegare come fanno gli ebrei a trasmettere la fede ai figli. Il cardinale, richiamandosi alla lettera di Paolo a Timoteo, il quale aveva ricevuto la fede – quasi fosse un gioiello di famiglia, anzi il gioiello più prezioso – dalla mamma Eunice e dalla nonna Loide (2Tim 1,5), ha risposto semplicemente così: “In Israele per trasmettere la fede non ci sono catechismi e catechisti, e nemmeno ore di religione. La fede viene trasmessa in famiglia, non attraverso definizioni astratte, ma attraverso la celebrazione delle varie feste. Le feste sono il grande luogo di insegnamento della fede per il bambino ebraico”. E indugia a descrivere il rito e il senso delle grandi feste religiose e civili del calendario ebraico: da Rosh-haschanah (il capodanno) a Sukkot (i tabernacoli), allo Yom-kippur (l’espiazione), a Chanukkah (la rinnovazione del Tempio), a Purim (le sorti), a Pesach (la pasqua di liberazione), a Sinchat-Torah (la gioia per il dono della legge, Pentecoste). “Ognuna di queste feste – dice il cardinale – è vissuta in famiglia con speciale intensità. Ognuna ha le sue preghiere proprie, che la mamma fa recitare a tutta la famiglia, a tutti i bambini. Per ognuna ci sono giochi, canti e colori propri. I bambini imparano
così, celebrando nella vita, udendo raccontare la storia del popolo e di questo Dio
misericordioso, vicino, fedele, presente attraverso l’esperienza quotidiana”. Conclude il
cardinale: “Dobbiamo ritornare a scommettere sulla trasmissione della fede in famiglia… I
genitori facciano pregare i figli e celebrino con loro le feste liturgiche nel tempo e nel modo
dovuti: abbiamo come cattolici moltissime splendide occasioni”. “Nei momenti delle feste
liturgiche accade che l’ordinarietà della vita familiare si accende, si ravviva nell’incontro con la
Grazia che si dona ad ognuno, piccoli e grandi, dentro ad ogni casa” (Cf. Carlo Maria Martini,
Celebriamo la fede in famiglia, Assisi, Cittadella Editrice, 2008, pp. 8, 23-28).
Questa sollecitazione non vuol essere condanna di tutto lo sforzo conciliare della Chiesa italiana
per elaborare un itinerario catechistico su misura delle diverse età e stagioni della vita; ma è la
sottolineatura dell’indifferibilità della testimonianza viva dei genitori e del richiamo
all’esperienza religiosa, soprattutto quando ci sono emergenze educative che si radicano nella
carne viva d’un bimbo.
L’esempio e il suggerimento del cardinale sono di facile comprensione e attuazione. Molti
genitori, sacerdoti della loro piccola chiesa domestica, celebrano insieme con i figli la
domenica, la grande festa settimanale cristiana del Signore risorto, dapprima in casa con la
preghiera delle Lodi, quindi nell’assemblea ecclesiale del popolo di Dio con la santa Messa. È
solo un esempio di come possono essere fatte rivivere le nostre migliori tradizioni religiose
familiari, oggi in declino, mentre è lamento comune che i nostri bambini e ragazzi non sanno
più neppure pregare!
4. E quel che ho detto per l’iniziazione e l’educazione dei piccoli e dei fanciulli alla fede, si può
dire anche per i primi germi di vocazione. Si ricordi la tenera scena del giovane Samuele che,
alla voce misteriosa che parlava al cuore, rispondeva senza indugi: “Eccomi!” (1 Sam 3,1 ss.).
Dio chiama non solo alla vita, ma anche a un ruolo nella vita. E ben lo sapevano le mamme, che
deponevano il loro bimbo appena battezzato e fatto cristiano sull’altare, quasi a dire: “È tuo
figlio, Signore, non solo mio. Proteggilo, abbine cura, e se lo scegli per il tuo servizio, sarò lieta
di dirti come Maria il mio ”.
Anche questo gesto così semplice e quasi ingenuo, faceva parte delle tradizioni cristiane e
dell’educazione dei figli. Così come altri gesti: l’immagine sacra in casa dinanzi alla quale i
bimbi portavano fiori, la “benedizione” ai figli prima di uscire di casa al mattino o prima di
andare a dormire alla sera, gli altarini di maggio con i “fioretti”, i servizi in chiesa come
chierichetti, il rosario in casa, il presepio a Natale e così via. La vita era impregnata di gesti
semplici di fede, fino a ritrovarsi magari tutti insieme come famiglia attorno al nonno morente
per ricevere la sua benedizione; e i piccoli imparavano a non provare eccessivo turbamento
dall’incontro con la morte. Questi e tanti altri stimoli educativi e religiosi oggi non ci sono quasi
più. Qualcuno è recuperabile, altri dovranno essere reinterpretati o inventati di nuovo. Così
come va riscoperto dalle famiglie il grande onore d’avere un figlio prete!
Ci aiutino in quest’opera di rinnovamento ecclesiale e sociale le colonne della Chiesa umbra, i
santi Benedetto e Francesco, e le donne “paciere” ed oranti Chiara di Assisi, Margherita di
Perugia-Cortona, Chiara di Montefalco, Angela di Foligno, Rita di Cascia, Colomba di Rieti e
tanti altri innumerevoli testimoni di Cristo.
Il nostro convenire ad Assisi ci consenta di farci “testimoni e missionari di fede” prima di tutto
nelle nostre case.

Source: http://www.chiesainumbria.it/famiglia/pdf/chiaretti.pdf

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