La scoperta di dio - interno

Titolo originale: Discovering God.
The Origins of the Great Religions and the Evolution of Belief
2007 by Rodney Stark. All rights reservedPublished by arrangement with HarperCollinsPublishersLtd.
La presente traduzione è sotto tutela della Universal Copyright Convention di Ginevra
2008 Lindau s.r.l.
Corso Re Umberto 37 - 10128 Torino Prima edizione: ottobre 2008ISBN 978-88-7180-763-8 L’origine delle grandi religioni Sin dalla giovinezza mi sono spesso interrogato su Dio. Esiste davvero? Se sì, dov’era prima di rivelarsi ad Abramo? Veramen-te intere generazioni di esseri umani sono state condannate a vi-vere e morire nell’ignoranza, seguite da molte altre in cui solopochi prescelti conoscevano Dio? Oppure sin dall’inizio dei tem-pi Dio si è rivelato frequentemente e in vari luoghi, così che mol-te religioni diverse fra loro possedessero almeno in modo fram-mentario la conoscenza della sua volontà? E se è così, perché al-lora anche certe grandi religioni sembrano mancare di qualsiasitraccia di ispirazione divina? Domande come queste mi hanno spinto a riesaminare com- pletamente le origini e l’evoluzione culturale delle grandi reli-gioni del mondo, argomento che una volta attraeva molti distin-ti filosofi, antropologi e sociologi, e che oggi è dominio di biolo-gi e psicologi evolutivi. Ma questo non ha importanza. Tutte leopere recenti nel loro insieme è di qualità di gran lunga inferio-re, perché ben pochi autori sono riusciti a tenere a freno il loroateismo militante 1. Il disprezzo non è una virtù accademica, mala maggioranza di questi studiosi parte chiaramente dal presup-posto che gli Dei 2 esistano solo nell’immaginazione umana, chela religione nasca soprattutto dalla paura, e che la fede sia soste-nuta dall’ignoranza e dalla credulità. Il titolo dell’ultimo libro diRichard Dawkins è chiarissimo: L’illusione di Dio. Non solo l’argomento dell’evoluzione religiosa tende ad at- trarre chi avversa la religione, ma gli stessi confronti tra le diver- se fedi possono rivelarsi facilmente corrosivi, perché ci si trovadavanti all’evidenza che, non concordando fra loro, non tutte lereligioni possono essere completamente vere. E da qui è piccoloil passo che porta a concludere che le religioni sono false, che«tutte confutano tutte», come disse il monaco apostata Jean Bo-din nel 1953 3.
Ironicamente, anche le somiglianze esistenti fra le religioni del mondo vengono prese come «prova» del fatto che si tratte-rebbe di invenzioni umane. Il più famoso fautore di questo pun-to di vista fu James Frazer (1854-1941), il quale pubblicò la suamonumentale opera in 12 volumi, Il ramo d’oro, a partire dal1890. Frazer nacque a Glasgow, in Scozia, e passò l’intera carrie-ra accademica al Trinity College di Cambridge. Lavorò 60 anni,quasi senza fermarsi un giorno 4, per redigere un’enorme quan-tità di esempi che avrebbero dimostrato, fra le altre cose, come iracconti di crocifissioni e risurrezioni fossero un elemento co-mune nella «mitologia» mondiale, esattamente come la nozionedi «un uomo divino […] come capro espiatorio […] un dio mo-rente scelto per prendere su di sé e togliere i peccati e le penedella gente» 5. Di conseguenza, Frazer dedicò ampio spazio allatesi secondo la quale la narrativa della Passione cristiana derivada miti sulla morte e resurrezione di Attis, Adone e molti altri, eche si tratta di una ricostruzione della «festa ebraica del Purim,continuazione, sotto un nome diverso, della Sacæa babilonese,reminiscenza dell’antico costume di crocifiggere o impiccare unuomo [Haman] che durante la festa rappresentava un dio» 6.
Ammettendo che la Pasqua cade un mese dopo il Purim, Frazeripotizzò che «la tradizione cristiana spostò la data della crocifis-sione di un mese per far sì che il grande sacrificio dell’Agnellodi Dio coincidesse con l’annuale sacrificio dell’agnello pasqua-le» 7. E poi affermò che «la crocifissione con tutta la sua crudelemessa in scena non era una punizione pensata per Cristo, ma ilsemplice destino che attendeva ogni anno il malfattore che im-personava Haman [nel rituale originario del Purim]» 8. Frazer sidilungò molto su questa linea, cercando di dimostrare che «ilconcetto di un Dio che muore e risorge» era popolare nelle ci- INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE viltà primordiali «da tempo immemorabile» 9. E terminava ipo-tizzando che Gesù non fosse «nient’altro che un maestro di mo-rale che le fortunate circostanze della sua esecuzione hanno in-coronato, non semplicemente martire, ma Dio» 10. Il ramo d’oro fece di Frazer l’antropologo più ammirato della sua epoca (venne anche nominato «cavaliere» nel 1914). Tutta-via, Frazer ignorò la domanda più importante sollevata propriodal suo enorme studio: perché ci sono così tante somiglianze frale religioni? Al di là del ribadire che l’umanità era incredibil-mente credulona, Frazer si limitò a postulare che una volta chequalcuno da qualche parte inventava un «mito» o un rituale, es-so si spargeva velocemente (o diffondeva) nelle altre culture, at-traversando con facilità le solide barriere geografiche, linguisti-che e temporali. Ovviamente, né Frazer né nessun altro dei suoimolti ammiratori avrebbe mai preso in considerazione la possi-bilità che la fonte comune della cultura religiosa potesse esserespirituale.
Forse è per questo che gli studiosi di scienze sociali hanno mostrato poco interesse per l’importante fatto che, benché spar-si dall’Italia meridionale alla Cina, molti dei grandi «fondatori»religiosi furono fra loro contemporanei. Buddha, Confucio, Lao-Tzu (taoismo), Zoroastro, Mahāvīra (giainismo), gli autori prin-cipali delle Upani§ad, innovatori greci come Pitagora e lo scono-sciuto fondatore dell’orfismo, e addirittura i profeti israeliti Ge-remia ed Ezechiele, così come l’autore biblico detto il SecondoIsaia, vissero tutti nel VI secolo BCE! Fu una mera coincidenza?Un esempio di diffusione? La dimostrazione di una rivelazioneripetuta? O cosa? Su questo, la letteratura socio-scientifica hasempre avuto molto poco da dire, e la maggior parte di ciò che èstato detto ignora in maniera pressoché uniforme o nega in mo-do specifico qualsiasi aspetto spirituale 11.
Inoltre, è abbastanza strano che questa letteratura ignori an- che le convincenti prove dell’esistenza di un importante feno-meno di diffusione – alcuni di questi fondatori sembrano infat-ti essere stati molto influenzati gli uni dagli altri, soprattutto inIndia.
Invece, spronati dall’esempio di Frazer, molti studiosi di scien- ze sociali hanno continuato a individuare fra le religioni somi-glianze su somiglianze. Alcuni hanno spensieratamente parago-nato le varie forme di cannibalismo rituale con il sacramento cri-stiano della comunione, mentre altri hanno dato grande impor-tanza all’osservazione per cui la storia della natività di Cristo pa-re non essere altro che uno dei molti racconti nei quali un Dio fe-conda una donna. Assai di rado qualcuno con credenziali rispet-tabili ha preso in considerazione la possibilità, piuttosto ovvia,che queste somiglianze potrebbero testimoniare le autentiche ri-velazioni che sottostanno a molte delle fedi più importanti. Alcontrario, il punto di vista accademico predominante ritiene chetutte le rivelazioni siano degli eventi puramente psicologici, e dàper scontato che la risposta alla domanda su dove si trovasse Dioprima di rivelarsi alla generazione di Abramo sia che Yahweh nonera ancora stato inventato. Di sicuro io la pensavo così negli anni’80, quando scrissi un capitolo sull’«Evolution of the Gods» 12.
Oggi la mia risposta è abbastanza diversa, come dovrebbe es- sere evidente già dal titolo di questo libro, che fa riferimento di-rettamente alla scoperta di Dio e non alla sua evoluzione. Certo,l’evoluzione culturale assume spesso l’aspetto della scoperta, siache si tratti di un bastone appuntito che si trasforma in una lan-cia dalla punta di selce, sia che si tratti dell’alchimia che diventachimica. In questo caso, ciò che si è evoluto è la concezione uma-na di Dio, che costituisce allo stesso tempo una scoperta, se si as-sume l’esistenza di Dio. Quindi, in merito a dove si trovasse Dionelle ere primitive, io avanzerei l’ipotesi che ci sia sempre stato eche si sia rivelato nel contesto delle limitate capacità di com-prensione dell’uomo. Nonostante questo, i capitoli che seguononon differiscono molto da quelli che avrei potuto scrivere in pas-sato, tranne nel fatto che sono stato molto attento in certi puntichiave a fornire delle spiegazioni alternative, una delle quali pre-suppone l’esistenza di Dio. In ogni caso, è impossibile analizza-re la scoperta di Dio, o l’evoluzione della nostra immagine diDio, al di fuori dei contesti specifici. Questo volume è quindi an-che una storia interpretativa delle origini delle grandi religioni.
INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE La rivelazione come accomodazione divina La teologia implica un ragionamento formale su Dio. Il punto
saliente è scoprire la natura di Dio, le sue intenzioni e le sue ri-chieste, e capire come queste definiscono il rapporto fra esseriumani e Dio. Di conseguenza, i teologi ebrei e cristiani hanno de-dicato secoli a ragionare su ciò che Dio poteva aver voluto in-tendere in vari passaggi delle Scritture, e nel tempo le interpre-tazioni si sono spesso «evolute» in modi abbastanza radicali evasti. Per esempio, non solo la Bibbia non condanna l’astrologia,ma la storia dei Magi che seguono la stella pare addirittura sug-gerire che la si ritenesse veritiera. Tuttavia, nel V secolo sant’A-gostino (354-430) argomentò razionalmente che l’astrologia è falsa,perché credere che il destino di una persona sia predeterminatodalle stelle è in opposizione con il dono del libero arbitrio fattoda Dio all’uomo 13.
Mantenendosi su questa linea di pensiero, ebrei e cristiani hanno sempre supposto che l’uso della ragione potesse condur-re a una comprensione di Dio sempre più accurata. Come osservòAgostino, ci sono «verità concernenti la dottrina della salvezza,che non possiamo ancora comprendere con la ragione (ma lo po-tremo un giorno)» 14. Un aspetto di cruciale importanza è il fattoche il tentativo di capire la volontà di Dio richiedeva che i teolo-gi cristiani non interpretassero sempre in senso letterale la Bib-bia. Sin dall’inizio, infatti, il convenzionale punto di vista cristia-no fu che, benché la Bibbia fosse vera, spesso il suo significatoera incerto, «potendosi dare di queste parole certamente vere in-terpretazioni diverse», come disse sant’Agostino 15.
Quindi Agostino riconosceva apertamente che era possibile per un lettore di un’epoca successiva, con l’aiuto di Dio, afferra-re un significato scritturale non colto dalla persona che per pri-ma aveva redatto le Scritture. Quindi, continuava, «accostiamociinsieme alle parole del tuo libro e cerchiamo in esse la tua vo-lontà attraverso la volontà del tuo servitore, per la cui penna lehai elargite» 16. Inoltre, sant’Agostino scrisse che dal momentoche Dio era incapace di errore o falsità, se la Bibbia sembrava in contraddizione con il sapere era a causa di una mancanza dicomprensione da parte del «servitore» che aveva trascritto le pa-role di Dio. Questa linea di pensiero è del tutto coerente con una delle fondamentali premesse giudeo-cristiane (che però è stata deci-
samente trascurata dagli studiosi): l’accomodazione divina, per
la quale le rivelazioni di Dio sono sempre limitate alla capacità di com-
prensione degli uomini in quel momento
– vale a dire che per co-
municare con gli uomini, Dio è costretto ad adattarsi alla loro in-
capacità di comprensione facendo ricorso a una specie di «lin-
guaggio per bambini». Questa visione, ovviamente, è fortemen-
te radicata nelle Scritture. Nell’Esodo della Torah (6,2) Dio dice
a Mosè di essersi presentato ad Abramo, Isacco e Giacobbe non
come Yahweh, ma con il nome di El Shaddai 17, e presumibil-
mente l’aveva fatto perché i patriarchi non erano pronti a sape-
re di più 18. Oppure, quando i discepoli chiedono a Gesù perché
parli alle moltitudini tramite delle parabole, egli risponde loro
che le persone differivano molto nel grado di comprensione:
«Per questo parlo loro in parabole, perché, vedendo, non vedo-
no; e udendo, non odono né comprendono» 19.
Fu in questo stesso spirito che Ireneo (ca. 115-202) invocò il principio dell’accomodazione divina ai limiti umani per spiega-re la tolleranza di Dio nei confronti dei fallimenti dell’uomo. Unagenerazione più tardi, Origene (ca. 185-251) nel suo I principiscrisse: «Noi insegniamo su Dio ciò che è vero e ciò che la molti-tudine può comprendere». Quindi, «la rivelazione presente nel-le scritture ispirate da Dio è un velo che deve essere penetrato. Èun’accomodazione alle nostre attuali capacità [che] un giornoverrà superata» 20. Su questo concordava anche san Tommaso d’Aquino (1225- 1274): «Le cose di Dio dovrebbero essere rivelate all’umanità so-lo in proporzione alla sua capacità; altrimenti, potrebbe disprez-zare ciò che va al di là della sua possibilità. […] Quindi, fu la co-sa migliore per i misteri divini l’essere trasmessi a un popolo in-colto in forma velata» 21. Allo stesso modo, Giovanni Calvino(1509-1564) affermò chiaramente che Dio «si rivela a noi secondo INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE la nostra ignoranza e debolezza» 22. Se il confronto scritturale, peresempio fra sezioni antecedenti e successive della Bibbia, sembrasuggerire che Dio è mutevole o inconsistente, è solamente perchéDio «si è adattato a forme diverse in epoche diverse, sapendo chesarebbe stato utile a tutti […] si è conformato alla capacità degliuomini, che è diversificata e mutevole» 23. Questi stessi limiti dicomprensione appartengono anche agli uomini che hanno tra-smesso le parole di Dio. Quindi, Calvino osserva che nel redige-re la Genesi, Mosè venne ordinato insegnante sia degli ignoranti che degli istruiti e nonavrebbe potuto adempiere al suo compito in altri modi se non abbas-sandosi al metodo d’insegnamento più rozzo. [Cercando di] essere in-telligibile per tutti […] Mosè adatta il suo discorso all’uso comune […]in modo che il rozzo e l’ignorante possano capire [e] colui che avreb-be imparato l’astronomia o altre arti recondite sarebbe andato oltre. 24 Il principio chiave dell’accomodazione divina consente una completa rivalutazione delle origini e della storia delle religioni.
Calvino disse in modo chiaro e diretto che la Genesi non era unracconto letterale della Creazione perché era diretta agli igno-ranti e ai primitivi, anche se quando ricevettero questa scritturagli antichi ebrei erano ben lontani dall’essere davvero dei primi-tivi. E allora, quale accomodazione molto più grande sarà servi-ta a Dio per rivelarsi agli esseri umani dell’Età della Pietra? Dun-que, diventa per lo meno plausibile affermare che molte religio-ni sono basate su autentiche rivelazioni, dal momento che Dio leha trasmesse entro i limiti della comprensione umana e che il suomessaggio può essere stato frainteso o riportato erroneamente.
Inoltre, se agli uomini è stato donato il libero arbitrio e se quindista a loro sviluppare le proprie capacità e la propria cultura, ciòpone delle serie restrizioni al grado con cui Dio rivelerà sé stes-so. Da questo punto di vista, Dio chiede il consenso dell’uomo enon lo costringe ad adattarsi, nemmeno come avverrebbe nel ca-so di rivelazioni generali estremamente drammatiche – come se,per esempio, apparisse in cielo ogni mattino.
Non è illogico sostenere che le rivelazioni non esistano e che tutte le religioni abbiano origine umana; piuttosto, a me sembramolto al di là del credibile affermare che tutte le religioni sianovere in misura significativa. Infatti, data l’importanza della reli-gione nelle culture umane e la natura non empirica della sua ori-gine, bisogna supporre che siano state avanzate anche molte ri-vendicazioni religiose illusorie, o addirittura fraudolente. La sfi-da immensa e soverchiante sta nello stabilire quali sono quellevalide, tentando di rispettare le questioni estremamente delicateimplicate in questo tipo di giudizio. Alla fine di questo libro ten-terò di motivare tre test applicabili all’ispirazione divina. Concezioni di Dio-Dei in evoluzione: una descrizione preliminare Questo libro può essere letto come uno studio sia dell’evolu- zione delle immagini umane di Dio, sia dell’evoluzione della ca-pacità umana di comprendere Dio. Lo stesso modello teorico soddi-sfa entrambe le interpretazioni.
Le teorie sull’evoluzione della cultura umana devono differi- re in modo sostanziale dalle teorie sull’evoluzione biologica, dalmomento che la cultura non possiede un’equivalente per i geni 25e non viene trasmessa in modo «meccanico», ma solo in manieraimperfetta attraverso la socializzazione dei giovani. Tuttavia, sial’evoluzione biologica che quella culturale sembrano essere for-temente modellate dal principio della selezione naturale o della so-pravvivenza dei più adatti, che si riferisce alla tendenza degli orga-nismi o degli elementi culturali meglio adattati a prevalere suglialtri. Voglio sottolineare che non mi sto riferendo all’evoluzionedi nuove specie, ma alla selezione naturale all’interno delle «spe-cie» note come culture umane o, per restringere ulteriormente iltermine, si può dire che mi riferisco alla selezione naturale fravariazioni all’interno di quelle «specie» chiamate religioni. Comescrisse il pioniere dell’antropologia Edward Burnett Tylor nel1871: «Per l’etnografo, l’arco e la freccia sono una specie» 26.
Quindi, l’evoluzione culturale riguarda il modo in cui una cultu- INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE ra nel suo complesso viene plasmata dalla selezione naturale fraelementi culturali secondari (vale a dire, come archi più efficacisoppiantarono i modelli meno potenti), o il modo in cui l’insie-me delle culture umane viene modificato dalla sopravvivenzadelle più adatte fra loro (come le culture che conoscevano l’arcoeliminarono quelle che possedevano solo clave o lance).
È interessante notare che Charles Darwin 27 prese a prestito l’espressione «sopravvivenza dei più adatti» dal sociologo ingle-se Herbert Spencer 28, il quale la coniò nel 1851 riferendosi non al-l’evoluzione degli organismi, ma a quella della cultura. Come lointendeva Spencer, il principio della sopravvivenza dei più adat-ti significava, in determinate circostanze, che quelle culture o ele-menti di culture che meglio si confacevano ai bisogni umani sa-rebbero sopravvissuti, mentre quelli meno adatti si sarebberoestinti. Ciò può accadere perché una società opera un trasferi-mento dei propri elementi culturali, o perché la stessa società (ela sua cultura) soccombono a un’altra più adeguata.
Implicito in tutto ciò è il fatto che la selezione naturale richie- de due condizioni che riguardano sia gli organismi che le cultu-re: una considerevole variazione fra i casi individuali, e un con-testo ambientale di concorrenza. Ed esattamente come la soprav-vivenza biologica sceglie variazioni favorevoli, anche le cultureche meglio si sono adattate sono avvantaggiate nella sopravvi-venza. Per esempio, fu solo la loro cultura militare molto supe-riore a permettere alle piccole città stato dell’antica Grecia disconfiggere ripetutamente e alla fine dominare le enormi armatedella Persia. Se i greci non avessero avuto delle falangi altamen-te disciplinate, non ci sarebbero mai stati i filosofi greci.
Che l’evoluzione biologica sia guidata da un Disegno Intelli- gente o non lo sia, essa non è comunque un prodotto della sele-zione o dell’invenzione consapevoli degli organismi coinvolti. Alcontrario, questo è il caso dell’evoluzione culturale, i cui mecca-nismi fondamentali sono la creatività umana e la valutazione. Gliuomini inventano costantemente nuovi elementi di cultura, e ilfatto che uno di questi venga adottato o conservato dipende daquanto viene giudicato di valore in termini di chiara utilità, de- finita in linea di massima come l’insieme di appagamenti intel-lettuali, emotivi e artistici, e questioni più pratiche e materiali.
Quindi: gli esseri umani tenderanno ad adottare e conservare queglielementi della cultura che sembrano produrre risultati «migliori», men-tre quelli che sembrano meno remunerativi tenderanno a essere scarta-ti. Per questo il sistema numerico romano venne scartato a favo-re di quello indo-arabo, molto più efficiente, e la musica mo-nofonica fu sostituita dalle armonie polifoniche. L’uso del verbo«sembrare» nell’affermazione più sopra è un dettaglio importan-te, dal momento che molte delle valutazioni umane si dimostra-no spesso sbagliate, a volte a causa di errori di percezione, altrevolte a causa d’interessi acquisiti, altre ancora per un forte attac-camento alla tradizione. Quindi, con quella affermazione ci si ri-ferisce solo a una tendenza generale a lungo termine e, comesempre con le affermazioni teoriche propriamente formulate, sideve presupporre che essa sia qualificata anche dalla frase a pa-rità di condizioni.
Bisogna anche tener presente che il cambiamento, che sia bio- logico o culturale, non è né un fenomeno unilineare né necessaria-mente progressivo, almeno non nel breve termine. L’evoluzione, nelsenso del migliore adattamento, non è inevitabile e molti cam-biamenti non sono in alcun modo «favorevoli». Al contrario, lapossibilità di regressione esiste e i vicoli ciechi sono frequenti –basti pensare ai dinosauri. Lo stesso accade con le culture. Ciò ri-sulterà particolarmente chiaro nel capitolo 1, dove vedremo chela maggioranza delle informazioni in merito alle religioni delleculture primitive derivano da gruppi di persone che vivevanoancora nell’Età della Pietra nel XVIII e XIX secolo – culture cheovviamente avevano cessato di evolversi molto tempo prima eche per la maggior parte sarebbero presto estinte.
Inoltre, da un punto di vista comparativo, le culture religiose di tanto in tanto hanno mostrato una notevole confusione, comequando, per esempio, le prime tendenze verso il monoteismo fu-rono annullate per ripristinare un lussureggiante politeismo, e inaltri luoghi degli Dei ben definiti si riducevano a spiriti inconsa-pevoli, solo per poi ritrovarsi con entrambe le tendenze di nuo- INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE vo cambiate. Una simile variabilità non pone solo delle sfide in-tellettuali, ma anche delle difficoltà di racconto. Invece che cer-care di seguire una linea temporale unitaria, tentando di nonperdere le tracce dei numerosi e diversificati sviluppi contempo-ranei, ho scelto di suddividere l’argomento e di discutere di undato fondatore o una data fede nel giusto dettaglio prima di pas-sare ad altro.
Chiariti questi punti, passiamo ora all’evoluzione delle conce- zioni di Dio, o degli Dei: gli esseri umani tenderanno ad adottare e
conservare le immagini di Dio (o degli Dei) che sembrano fornire loro
maggiore appagamento, sia soggettivo che materiale.
Data questa ten-
denza fondamentale, ne consegue che gli esseri umani preferiranno
degli Dei a delle essenze divine prive di consapevolezza
. Come mo-
strerò in vari capitoli, le essenze «divine» inconsapevoli non sono
Dei. Certo, si potrebbe invocare la Fortuna, ma sarebbe come fare
appello alla Natura di Baruch Spinoza (1632-1677), dal momento
che nessuna delle due può ascoltarci, né sarebbe interessata a far-
lo. Di qui, un’importante distinzione: soprannaturale si riferisce
a forze misteriose o a entità che stanno al di sopra, al di là e al di fuori
della natura e che possono essere in grado di influenzare la realtà;
gli
Dei sono esseri soprannaturali dotati di consapevolezza e intenzioni.
Dovendo scegliere, gli esseri umani preferiranno gli Dei.
Le immagini che gli esseri umani hanno di Dio tenderanno a pro- gredire da quelle di ambito minore ad altre di ambito maggiore. Nel ca-so degli Dei, ambito si riferisce alla diversità di poteri e interessie al raggio della loro influenza. Un Dio del clima ha un ambitomaggiore di un Dio della pioggia o del vento. Un Dio che con-trolla il clima su tutta la terra ha un ambito maggiore di un Dioche lo controlla in una ristretta area tribale. Nel lungo periodo, latendenza sarà verso una concezione di Dio-Dei di ambito infinito epotere assoluto. Tuttavia, nel breve termine, gli esseri umani pos-sono spostare la loro adorazione su Dei di ambito minore, ma(forse) con maggior attrattiva psicologica – per esempio, da unSommo Dio piuttosto distante e moralmente esigente agli Deinumerosi, abbastanza permissivi, variopinti e vicini degli antichipantheon.
Inoltre, gli esseri umani preferiranno un’immagine di Dio-Dei razionale e amorevole. Non si può fare nulla con, o per, degli esseriirrazionali; non li si può nemmeno propiziare. Se gli Dei sonocompletamente irrazionali, la religione è futile. Ma se invece sonorazionali, allora c’è una gamma immensa di possibilità. Tuttavia, irapporti con gli Dei dipendono da un’altra caratteristica, vale adire la loro amorevolezza. Per come venivano ritratti, gli Dei tradi-zionali dei greci e dei romani potevano anche ascoltare le preghie-re degli uomini, ma certo non se ne curavano. Era saggio propi-ziarsi le divinità con rituali e sacrifici periodici, ma esse non era-no molto amorevoli e sembra che suscitassero più spesso ansie epreoccupazioni che devozione. Di conseguenza, le società greco-romane si dimostrarono molto vulnerabili all’influenza di divi-nità amorevoli provenienti da altri luoghi, tra cui Cibele (la gran-de Dea madre della Frigia) e Iside (la Dea redentrice dell’Egitto).
Gli Dei amorevoli meritano una profonda devozione – il termineamorevole racchiude in sé una gamma intera di attributi divini:misericordia, accessibilità, consapevolezza e benevolenza. Do-vendo scegliere, gli esseri umani preferiranno gli Dei amorevoli.
Queste preferenze conducono a una concezione di Dio come un essere amorevole, consapevole e razionale di ambito illimitato, che hacreato e governa l’intero universo. Eppure, ciò non implica necessariamente l’assoluto monotei- smo. In effetti, solo le religioni «atee» incentrate su un’essenzadivina priva di consapevolezza possono essere dei monoteismipuri. Quando Dio viene ritratto come un essere consapevole, ilgrado di monoteismo risulta limitato dal problema del male. SeDio è responsabile di tutto, del male come del bene, allora po-trebbe anche sembrare un’entità irrazionale, perversa e capric-ciosa che cambia intenzioni in modo imprevedibile e senza alcunmotivo. Una simile concezione di Dio era prevalente in Egitto eMesopotamia, anche se era attribuita a Dei supremi come Mar-duk e Amon-Ra, e non a un solo Dio. Infatti, l’idea che Dio sia ine-splicabile, e che le sue benedizioni o terribili punizioni venganodistribuite in modo imprevedibile, può non sembrare poi tantoassurda in culture abituate al dominio di un monarca capriccio- INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE so. In effetti, ci sono delle forti reminiscenze di una simile conce-zione di Dio anche nel primo ebraismo 29.
Per ritrarre in modo più plausibile Dio come amorevole e ra- zionale, è utile presupporre l’esistenza di altri esseri divini, an-che se di molto inferiori. In altre parole, creature soprannaturalimalvagie come Satana sono essenziali. In questo senso, zoroastri-smo, ebraismo, cristianesimo e islam sono monoteismi dualistici– ognuno di essi insegna che, oltre a un essere divino supremo,esiste almeno un altro essere soprannaturale, anche se meno po-tente, che è la fonte del male 30. Di conseguenza, in ognuna diqueste fedi la responsabilità primaria per il male e l’ingiustizianon viene assegnata a Dio – per fare un esempio, fu Satana e nonDio ad accumulare su Giobbe tutte le sue sfortune 31.
Il monoteismo dualistico non è simmetrico. Il male non ha la pienezza di potere di Dio – Ahura Mazdā, Yahweh, Jehovah e Al-lāh si limitano a tollerare gli esseri malvagi inferiori e al tempoopportuno li vinceranno. Esiste una ricca letteratura teologicasul motivo per cui Dio tollera il male, la maggior parte della qua-le tratta la questione del libero arbitrio. Qui è sufficiente osser-vare che l’«evoluzione» di una religione non può giungere al mo-noteismo assoluto senza abbandonare la fede in un Dio consape-vole – un’essenza divina priva di consapevolezza infatti non fanulla e non può essere accusata di nulla.
Va tenuto presente anche il fatto che il monoteismo è compa- tibile con l’esistenza di molti esseri spirituali inferiori, come an-geli, demoni, folletti, geni, cherubini e santi. Ciò non costituisceuna forma di politeismo, perché queste entità non vengono con-siderate Dei. Esistono e agiscono solo all’interno dell’autorità diDio. In questo senso, allora, ebraismo, cristianesimo e islam ven-gono correttamente identificati come i tre grandi monoteismi.
I capitoli che seguono sono modellati sul presupposto che, nonostante i suoi molti rivolgimenti, curve e ritorni, il sentierolungo il quale le culture umane hanno progressivamente scoper-to Dio ha portato verso il monoteismo dualistico. Ma, direbbero molti sociologi moderni, perché tutto questo preoccuparsi di Dio? È ovvio che la religione è una questione di ri- tuali e non di divinità, quindi perché perdere tutto questo temposulle immagini di Dio? Opinioni di questo tipo riflettono il fattoche per la maggior parte del XX secolo, lo studio sociologico del-la religione è stato essenzialmente un settore ateo, non solo perchémolti di coloro che l’hanno praticato erano dei non credenti, maanche perché Dio era stato bandito dalle definizioni di religione eveniva ignorato sia nella ricerca pratica che nella teoria.
Nella sua importantissima opera il sociologo francese Émile Durkheim (1858-1917) sminuisce Dio come fosse una vetrina po-co importante, sottolineando che le cose fondamentali della reli-gione sono le cerimonie e i rituali. Nella recensione scritta nel1886 al libro di Herbert Spencer Principi di sociologia, Durkheim 32accusò Spencer di ridurre la religione «a una mera raccolta dicredenze e pratiche collegate a un agente soprannaturale». Econtinuava: Il concetto di Dio che qualche tempo fa sembrava essere la sommatotale della religione, ora non è che un aspetto minore. È un feno-meno psicologico che si è mescolato con un intero processo sociolo-gico la cui importanza è di ordine ben diverso. […] Forse dovremmocercare di scoprire cosa si nasconde dietro questo fenomeno piutto-sto superficiale. […]Quindi, il sociologo presterà poca attenzione ai diversi modi in cuigli uomini e i popoli hanno concepito la causa sconosciuta delle co-se e la loro misteriosa profondità. Metterà da parte tutte le specula-zioni metafisiche e vedrà nella religione solo una disciplina sociale. 33 Ventisei anni dopo, Durkheim non si era affatto mosso dalla sua convinzione che gli Dei erano un elemento accessorio dellareligione, osservando che anche se lo scopo evidente dei ritualiera «rafforzare i vincoli che uniscono il fedele al suo Dio», inrealtà quello che facevano era rafforzare «i vincoli che unisconol’individuo alla società […] perché il dio non è che l’espressionefigurativa della società» 34. Così iniziò una nuova ortodossia so-ciologica: la religione consiste nella partecipazione a cerimonie erituali – e solo in questo.
INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE Bisogna chiedersi su che base sia possibile ritenere plausibile che l’abbondanza di cerimonie e rituali religiosi che si riscontrain tutte le culture umane venga conservata senza alcun fonda-mento logico chiaro. Ma Durkheim e i suoi discepoli non si limi-tavano a sostenere che le persone adoravano delle illusioni, per-ché altrimenti avrebbero dovuto reintegrare gli Dei, illusori omeno, come centro della religione. Loro scartavano totalmente ledivinità e sostenevano, almeno implicitamente, che le personepregavano e veneravano il vuoto assoluto, ben consapevoli difarlo. E va rilevato che qualche famoso sociologo, davanti a que-sta implicazione derivata dell’affermazione che le religioni sonoprive di Dio, ha addirittura affermato che i riti religiosi, compre-se le preghiere, non sono diretti agli Dei! Dunque, ci viene chie-sto di accettare l’idea che anche i sacerdoti tribali primitivi sa-pessero che gli Dei non esistevano e fossero pienamente consa-pevoli del fatto che i loro gesti rituali erano volti solamente alrafforzamento della solidarietà di gruppo 35. Joseph Needham 36 sispinse così oltre da negare l’esistenza di uno stato mentale uma-no che possa essere propriamente chiamato fede religiosa, e chequindi tutta l’attività religiosa era solo un’espressione socio-emozionale.
Serve moltissimo dotto allenamento sociologico per accettare simili assurdità. Le persone pregano rivolgendosi a qualcosa, aqualcosa che sta al di sopra e al di là del mondo materiale, che hala capacità di ascoltare le loro preghiere e il potere soprannatu-rale di influenzare la natura e gli eventi! Reale o non reale, que-sto «qualcosa» sono gli Dei. Le variazioni nel modo in cui Dio ogli Dei sono concepiti costituiscono le principali differenze fra lefedi e le culture, come dimostreremo al di là di ogni dubbio neicapitoli che seguono.
Ciò nonostante, le concezioni di Dio non sono l’unico aspet- to importante delle religioni. La cultura non è qualcosa che si li-bra al di sopra di una società come una specie di nuvola intel-lettuale. La cultura ha importanza solo in quanto imperniata inuna società. Quindi, la religione ha importanza solo come cen-tro delle attività dell’uomo, specialmente di attività organizzate dedicate a scopi religiosi: la storia delle religioni ha a che farenon solo con la scoperta di Dio ma anche con l’evoluzione diruoli e istituzioni religiosi specializzati, sacerdoti e templi, cleroe congregazioni.
Tenendo ben presente tutto ciò, ho puntato a molto più che a una semplice applicazione alle varie concezioni di Dio dei basi-lari principi dell’evoluzione culturale. Ciò che ho tentato di fareè analizzare e spiegare in modo più completo ognuno dei gran-di episodi nella storia dell’origine delle religioni.
Il capitolo 1 esamina gli stadi iniziali della cultura religiosa: cosa credevano gli esseri umani primitivi e perché? Vengono va-lutate le quattro principali «scuole» che si sono occupate dellanatura e delle origini delle religioni primitive, tutte accomunatedal fatto di presentare le religioni primitive come grezze mesco-lanze di magia e superstizione, praticate da esseri umani con ca-pacità mentali molto inferiori alle nostre. Queste affermazionivengono confutate alla luce di studi più recenti che dimostranocome la maggior parte delle culture più primitive a noi note pos-sedessero delle nozioni piuttosto sofisticate di Dei supremi edestesi racconti della Creazione. Vengono esaminate anche le ri-sposte teologiche e sociologiche a questi fatti. Comunque, tuttigli studiosi di religioni primitive concordano sul fatto che la reli-gione sia una caratteristica universale delle società umane. Quin-di, il capitolo sintetizza e valuta i tre approcci contemporanei piùimportanti che tentano di spiegare perché tutte le società hannouna religione: l’approccio biologico, culturale e tecnologico.
Il capitolo 2 illustra l’ascesa e l’influenza delle religioni nelle prime civiltà – i sumeri, gli egizi, i greci e i popoli mesoamerica-ni – religioni templari sostenute dallo stato e che presentavanoun politeismo sacerdotale. Perché queste civiltà hanno abbando-nato i Dei supremi precedenti e hanno accolto degli idoli e unaconcezione degli Dei come esseri essenzialmente umani, tranne INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE per l’immortalità e qualche potere speciale? Perché questo primoclero specializzato e ufficiale era così contrario a tutte le innova-zioni? Perché non si preoccupava della vita religiosa del popolo?E queste civiltà credevano davvero che gli «idoli» fossero vivi? Il capitolo 3 analizza il «mercato» religioso relativamente aperto che si sviluppò a Roma e il modo in cui esso permise l’in-troduzione costante di nuove fedi, specialmente dalla Grecia,dall’Egitto e dal Vicino Oriente. Esamina il modo in cui la com-petizione fra queste numerose fedi diede come risultato un livel-lo straordinariamente elevato di religiosità fra la gente comune,con l’effetto collaterale di conflitti frequenti e saltuarie persecu-zioni. Sarà posta particolare attenzione alle basi generiche delconflitto religioso a Roma: l’opposizione dello Stato a tutti i mo-vimenti religiosi fondati su congregazioni altamente devote e incontrasto con il coinvolgimento più moderato suscitato dalla re-ligione tradizionale. Quindi, la persecuzione del cristianesimo fupreceduta non solo da quella degli ebrei, ma anche dalla repres-sione di gruppi pagani particolarmente ferventi 37 come i seguacidi Bacco, Iside e Cibele. Inoltre, il capitolo vaglia la tesi secondola quale le due maggiori persecuzioni dei cristiani, la prima sot-to Decio e la seconda per mano di Diocleziano, furono azioni pa-rallele agli urgenti tentativi di ravvivare la religione romana tra-dizionale come risposta alla crisi sociale dell’Impero, dimostran-do così che anche il politeismo romano fu più saldo di quello del-le antiche società dei templi.
Il capitolo 4 esplora l’emergere di movimenti religiosi che sfi- darono l’establishment dei templi e offrirono un monoteismo didiverse forme e gradi. Iniziando dal tentativo del faraone Akhe-naton di costringere al monoteismo gli egiziani, il capitolo pro-cede all’analisi di come potrebbe essere stato il primo monotei-smo dualistico pienamente sviluppato, vale a dire lo zoroastri-smo. A ciò segue una lunga valutazione dell’ebraismo nei suoivari stadi: come si trasformò sotto Salomone in una religione sa-cerdotale istituzionalizzata che esibiva un politeismo considere-vole, e come nel VI secolo BCE una setta monoteista radicata nel-l’élite ebraica di Babilonia ritornò in patria e rovesciò ciò che ri- maneva del politeismo, istituendo in Israele un monoteismo in-crollabile. La sezione successiva rintraccia le comunità ebraichedella Diaspora sparse intorno al Mediterraneo, e delinea i lorosforzi di proselitismo in nome dell’Unico Vero Dio. Poi, il capito-lo interpreta l’isiacismo come un tentativo pagano di avvicina-mento al monoteismo e termina con gli sforzi imperiali d’istitui-re Sol Invictus come Dio supremo di Roma, anticipando quindile conversioni al Dio degli ebrei e dei cristiani.
Passando all’Oriente, il capitolo 5 è incentrato sull’ascesa delle religioni in India, soprattutto dell’induismo e del buddhi-smo. L’India ha avuto un’economia religiosa molto sregolata ecompetitiva per più di 3000 anni, con il risultato che abbonda di«culti e sette» 38. In effetti, l’alta densità dei gruppi indù ha fattosì che alcuni adottassero forme estreme di devozione e compor-tamento per attirare l’attenzione nella confusione di messaggiconcorrenziali. Tutta questa competizione produsse alti livelli didevozione pubblica, rafforzata dal fatto che le distinzioni di ca-sta ed etnia erano concepite, e lo sono tuttora, principalmente intermini religiosi, visto che la maggioranza delle molte migliaiadi sottogruppi di casta ha le proprie sette indù. Così, tutti i con-flitti e le dispute fra i gruppi di casta prendono la forma di con-flitti religiosi, stimolando in tal modo la fedeltà e la partecipa-zione dei membri individuali ai singoli gruppi. Per dirla in unaltro modo, le divisioni sociali primarie in questa regione coin-cidono con le divisioni religiose, e conferiscono loro importanzafondamentale.
Un punto centrale del capitolo sarà l’analisi dell’improvvisa comparsa di una nuova forma rivoluzionaria di induismo nel VIsecolo BCE, vale a dire l’induismo delle Upani§ad, che introdus-se la nozione della trasmigrazione delle anime (la reincarnazio-ne) e propose delle strategie per sfuggire alla ruota del Karma.
Nella stessa epoca, molte centinaia di chilometri a est, apparve-ro altre due nuove fedi: il buddhismo e il giainismo. Per quantoriguarda il buddhismo, sosterrò che fosse solo una forma diver-sa del nuovo induismo – che l’innovazione di Buddha fosse ri-durre tutti gli Dei indù a spettatori privi d’importanza e mante- INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE nere la fede nella trasmigrazione dell’anima e nella meditazionecome mezzi per ottenere la liberazione dal ciclo senza fine dellerinascite. Benché fondata su una relativa «assenza di Dio», anchela forma iniziale ed elitaria di buddhismo era una religione, per-ché accettava esplicitamente forze ed effetti soprannaturali. Unadelle grandi ironie della storia del buddhismo è che, essendo unareligione «atea» e in quanto tale piuttosto insoddisfacente, lostesso Buddha fu elevato a divinità. Un’altra grande ironia è che,dopo un periodo di popolarità e rapida crescita, in India ilbuddhismo si estinse completamente, al punto che la memoriadella sua esistenza andò perduta fino alla sua riscoperta nel XIXsecolo da parte di archeologi inglesi non professionisti. Nel capi-tolo vengono prese in considerazione anche le spiegazioni siadell’ascesa sia del declino del buddhismo indiano. Lo steso tipodi analisi viene fatta per il giainismo. Il capitolo indaga anche sulmotivo per cui tutta quest’opera di fondazione di nuove religio-ni avvenne in India in quell’epoca.
Il capitolo 6 esamina il sorgere del taoismo e del confuciane- simo, e l’arrivo e la crescita del buddhismo in Cina. Si analizza-no le basi di questa religione presso gli intellettuali della classesuperiore per spiegare perché costoro arrivarono a proporre del-le religioni relativamente «atee», sostenute da monaci «filosofi»a tempo pieno che dedicavano ben poca attenzione al recluta-mento di seguaci fra il popolo – in effetti, erano (sono) delle clas-siche religioni sacerdotali come quelle di sumeri, egizi, greci emesoamericani. Come si diffusero? Come intraprese il buddhi-smo il suo lungo viaggio dall’India alla Cina? Perché sopravvis-se in Cina e nel resto dell’Asia mentre scomparve in India?Un’altra importante domanda posta nel capitolo è: perché con-fucianesimo e taoismo ripercorsero lo stesso cammino delbuddhismo e trasformarono i loro fondatori in Dei? In effetti, inCina e nell’Estremo Oriente, i templi buddisti, confuciani e taoi-sti spesso sono pieni dei simboli di molti altri Dei. Perché? E poi,perché nessuna di queste tre «grandi» religioni, o l’insieme delletre, divenne effettivamente la religione della maggioranza dei ci-nesi? Perché la maggioranza delle persone continua a protegge- re l’elaborato politeismo noto come religione popolare molto do-po che simili culti sono scomparsi in Occidente? Il capitolo 7 analizza l’ascesa del cristianesimo. Inizia con il Gesù «storico» e poi esamina come il Cristo teologico abbia ef-fettivamente umanizzato la concezione ebraica di Dio, fondendocosì l’attrattiva intellettuale del monoteismo con quella emotivadelle divinità antropomorfe. In altre parole, Cristo fu il Figliodell’Uomo, accessibile e confortante, che mitigò le difficoltà nelrelazionarsi a un Padre intrinsecamente molto meno comprensi-bile e molto distante – un dualismo che prevede una divinità al-lo stesso tempo trascendente e incarnata. In effetti, le molte so-miglianze esistenti fra la storia di Cristo e quella delle grandi di-vinità precristiane servirono a rassicurare in modo ampio il mon-do greco-romano, facilitando la via della conversione. Successi-vamente, il capitolo valuta le aspre controversie sull’origine esull’autenticità del Nuovo Testamento. Viene posta particolareattenzione sulle frequenti rivendicazioni recenti in merito al fat-to che molti scritti importanti e illuminanti sarebbero stati erro-neamente esclusi dal Nuovo Testamento da parte di capi dellaChiesa repressivi – scritti noti con il nome di Vangeli gnostici. Laverità è che tali testi vennero appropriatamente scartati essendoun ultimo tentativo di incorporare il cristianesimo nel politeismotradizionale.
Avendo esaminato lo sviluppo del primo movimento di Ge- sù, il capitolo considera la curva di crescita approssimativa chemostra il numero dei cristiani all’interno dell’Impero in vari mo-menti della sua storia, fra l’anno 40 e il 350 – curva che viene av-valorata dal confronto con note statistiche sull’aumento delleidentificazioni cristiane sulle lapidi funerarie e sull’incidenza dinomi cristiani nei contratti. La curva di crescita chiarisce moltequestioni, soprattutto il motivo per cui Diocleziano e altri impe-ratori giunsero a temere sempre più il cristianesimo e Costantinocapì che i cristiani potevano essere degli alleati politici fonda-mentali. La curva fornisce anche l’occasione per interrogarsi sulmotivo per cui la gente diventa cristiana. Qual è l’attrattiva diquesta religione? INTRODUZIONE. RIVELAZIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE Il capitolo delinea poi il lungo declino del cristianesimo euro- peo che iniziò con l’istituzionalizzazione della religione a operadi Costantino, il quale la trasformò in una chiesa di stato sussi-diata. Le chiese vuote dell’Europa di oggi non sono il recente ri-sultato del modernismo, perché è da più di un millennio che lechiese europee sono poco frequentate. L’ultima sezione del capi-tolo mostra come l’economia religiosa concorrenziale dell’Ame-rica abbia rinvigorito il cristianesimo, generato un nuovo sensodi missione, e portato una straordinaria crescita cristiana nel«Sud globale» – vale a dire l’America Latina, l’Africa e l’Asia.
Il capitolo 8 esamina l’esplosione dell’islam e la rinascita de- gli stati teologici. Inizia con una breve biografia di Maometto,poi tratta le sue prime visioni e la fuga a Medina, e presta moltaattenzione al suo ruolo di capo militare e alla creazione di unostato arabo. La stessa attenzione viene rivolta alla religione da luifondata, ai Cinque Pilastri dell’islam, alle origini e alla natura delCorano e alla concezione musulmana di Allāh. Si affronta anchela questione se ebrei, cristiani e musulmani venerino lo stessoDio con nomi diversi. Poi si passa alla conquista araba e alla ra-pida creazione dell’impero musulmano, e viene dissipata la tesidelle conversioni di massa all’islam, grazie alla dimostrazioneche la nuova fede si diffuse rapidamente tramite trattati e con-quiste, ma che l’effettiva conversione dei popoli nella maggiorparte delle società satelliti impiegò molti secoli. Viene anche pre-sa in esame l’invenzione anticristiana per cui l’islam sarebbe sta-to molto tollerante con le altre fedi, comprese quella cristiana edebraica. Le affermazioni che l’islam abbia vissuto un’età dell’orodella civilizzazione e che sussistessero buoni rapporti reciprocinelle società multiculturali, come per esempio la Spagna more-sca, sono false. I musulmani non furono meno intolleranti deicristiani. Infine, vengono delineate le maggiori caratteristiche delsettarismo musulmano, a dimostrazione del fatto che l’islam è alsuo interno frantumato e variegato tanto quanto cristianesimoed ebraismo.
La «Conclusione» prende il via dall’improvvisa apparizione, nel VI secolo BCE, di una moltitudine di fondatori religiosi e nuove fedi. Alcuni hanno definito tale secolo Età Assiale 39 per
sottolineare il cruciale cambiamento nelle percezioni religiose
che avvenne lungo un asse che partiva dal Mediterraneo e giun-
geva alla Cina settentrionale. Ancora più notevole del loro nu-
mero, della dispersione o della simultaneità, è il fatto che queste
nuove fedi scoprirono il «peccato» e la coscienza, collegando la
moralità alla trascendenza 40. Se paragonato alle concezioni allo-
ra prevalenti di Dei morali e amorali, fu davvero qualcosa di ri-
voluzionario. E da ciò derivò un corollario universale: ci si deve
guadagnare la «salvezza», sia che questo significhi una vita grati-
ficante dopo la morte sia che si tratti di un’uscita dalla ruota del
karma. Com’è possibile che tutto questo sia accaduto in così tan-
ti luoghi diversi allo stesso tempo? Fino a che punto potrebbe es-
sere considerato un risultato della diffusione delle idee religiose
da una società all’altra? Oppure, è plausibile che l’Età Assiale sia
dovuta a rivelazioni avvenute in molti luoghi più o meno allo
stesso tempo? A questo proposito va riconosciuto che solo alcu-
ni fondatori delle principali religioni hanno proclamato di aver
avuto una rivelazione da Dio. Altri liquidarono gli Dei come
qualcosa di insignificante e sostennero di aver scoperto il fun-
zionamento spirituale dell’universo dentro sé stessi. Possiamo
isolare in tutta questa diversità un nucleo di fedi davvero ispira-
te dal divino?
Si giunge così alle domande fondamentali: Dio esiste? Vale a dire, abbiamo scoperto Dio, o lo abbiamo inventato? Le moltissimesomiglianze fra le grandi religioni esistono perché Dio è vera-mente il prodotto dell’adempimento della speranza universale?Sono gli uomini a creare degli esseri soprannaturali a causa delloro bisogno di conforto davanti alla tragedia dell’esistenza e perdare uno scopo e un significato alla vita? Oppure tutte questepersone sparse in vari luoghi sono davvero riuscite, con diversaintensità, a intravedere Dio? Introduzione. Rivelazione ed evoluzione culturale 2. Le religioni di tempio delle antiche civiltà Cronologia della storia antica delle religioni

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